Enzo Terzi racconta la Grecia odierna
Questa è davvero una ghiotta occasione, cari i miei lettori! Vi presento infatti un’intervista ad Enzo Terzi, conosciuto alcuni anni fa grazie ad Internet e alla comune passione per la scrittura.
Enzo vive da molti anni in Grecia ed ha accettato molto volentieri di rispondere alle mie domande sul suo Paese adottivo su cui, nel 2013, ha anche scritto il libro: “Da Pericle a Papadimos ed. Betelgeuse (ordinatelo online, vi arriverà subito!). Chi invece, il giorno 8 aprile si trovasse a Daverio (VA), potrà assistere alla presentazione del libro da parte di Enzo stesso. In occasione dell’Expo ogni Paese dell’hinterland milanese si è gemellato con una nazione, e a Daverio è toccata la Grecia: per questo il nostro sarà in Italia a presentare il libro.
Ora però lascio spazio all’intervista di Enzo che parla con una pacatezza di cui ci sarebbe un gran bisogno qui da noi, da contrapporre ad una politica e un giornalismo che sanno solo urlare le notizie; pacatezza che però non gli impedisce di chiamare le cose con il loro nome, evidenziando ipocrisie ed incongruenze. Direi una grande lezione di giornalismo. E poi la cultura che traspare fra le righe senza essere minimamente esibita, la lucidità dell’analisi e la profondità della conoscenza.
Buona lettura! Gustatevi il racconto e ad Enzo un grazie davvero sentito per la condivisione.
Ci racconti qualcosa di te?
Abito oramai dal 2008 in sede stabile ad Atene, cosa che mi ha permesso non solo di osservare ma anche di vivere tutta l’epopea difficile che il paese sta attraversando in questi anni. Scrivo libri prevalentemente a carattere divulgativo. Con i miei sessant’anni comincio ad essere impaziente di raggiungere questa “età matura” che non dà, per ora, il minimo accenno a manifestarsi. Cerco di mantenere un buon equilibrio tra il mobile dei ricordi sempre più pieno e quello della curiosità per il domani e per fortuna spesso non ci riesco, cosa che mi fa sentire molto umano e molto ricco.
Il tuo libro com’è nato? Quando hai cominciato a scrivere?
Il libro è nato allorché nel 2012 mi resi conto della quantità insopportabile di stupidaggini che venivano riportate dai giornali e dai media in generale, specialmente italiani, in merito a quanto stava succedendo qui. Ero non solo amareggiato ma anche estremamente deluso. Il dilagare di una persistente informazione faziosa ed alterata stava ingenerando un sistema di interpretazione degli avvenimenti che trovavo talvolta addirittura indecente. In realtà questa sensazione ad oggi non è scomparsa né posso dire che i media italiani si siano ravveduti, ma questo oramai è da considerarsi non più semplicemente l’adozione indiscriminata di luoghi comuni, quanto il risultato di un gioco di interessi più complesso. Ad ogni buon conto l’intenzione era quella di scrivere delle osservazioni che non svelassero particolari verità (mai sarei voluto salire in cattedra né come analista né come storico) ma, quantomeno, che potessero portare ad una riflessione più seria e informata su quanto stava accadendo. L’anno scorso ho avuto modo di fare un lungo tour di presentazioni in Italia e devo riconoscere che ne è valsa la pena. La mia attenzione non era né è tanto rivolta ai grandi temi sociali, politici o economici, quanto alla responsabilità che certi comportamenti, sia dei singoli che delle comunità hanno rispetto ad avvenimenti che, solo per un errata sindrome di incolpevolezza, ci si ostina a considerare come piovuti dall’alto ed estranei al personale modus vivendi.
Cosa puoi dirci dell’attuale situazione greca?
Il mio libro, che termina la sua narrazione alla soglia del duplice ed anche drammatico doppio turno di elezioni che si tennero nel giugno 2012, si conclude con un appello: “lasciate alla Grecia il tempo ed il modo di provvedere”. Sono tutt’oggi di questo avviso. In realtà quanto successo da allora non è altro che la conseguenza di decisioni forzate e prese in assoluta mancanza di libertà sovrana da uno stato che si era completamente messo in mani altrui. Ricordo che il secondo memorandum firmato ma non letto dai parlamentari (!), di fatto consegnò “chiavi in mano” il paese all’allora “troika”. Oggi la situazione è di concitata attesa. L’attuale governo necessita di tempo per iniziare a lavorare internamente al paese. La trattativa con le istituzioni internazionali non è facile anche (e forse soprattutto) per il fatto che nessuno dei contendenti può permettersi di perdere la faccia. È una trattativa che dovrà in qualche modo essere frutto di un articolato compromesso che possa permettere a tutte le parti in causa di dire: “abbiamo ottenuto quello che volevamo, almeno in gran parte e lo abbiamo fatto per il bene della Grecia e dell’Europa”. Il problema oggi non è più quello di riportare sulla retta via un paese disordinato e birichino, ma è pericolosamente diventato un banco di prova per un sistema, quello finanziario, che ha completamente fagocitato il sistema politico e la posta in gioco ha ben oltrepassato i confini della Grecia.
Se avessi il potere decisionale nelle tue mani, cosa sceglieresti di fare per il bene del popolo greco?
La società greca, nella sua odierna composizione, è una società di giovane costituzione. Le ultime massicce immigrazioni che ne hanno trasformato la fisionomia risalgono a pochi decenni orsono. Come tale, l’assetto sociale è fragile e così è acerba la capacità di autogovernarsi (anche se uno dei mantra più diffusi è quello che chiama a raccolta antichi fasti e democrazie sepolte). Dall’anno della sua indipendenza (1832, trattato di Londra) la Grecia ha goduto di un governo autonomo solo per circa sessant’anni. La presenza di case regnanti e governi stranieri ha pesantemente inficiato il rapporto stato-cittadino. Lavorerei per costruire una coscienza sociale ed un rapporto di fiducia tra istituzioni e popolazione che oggi è tutto da rielaborare, altrimenti ogni riforma continuerà ad essere vista con sospetto ed avrà il sapore di una imposizione o di un gesto populista non meno dannoso. Per questo ancora oggi rinnovo la richiesta di tempo, un tempo che storicamente questo popolo non ha ancora avuto. Per questo occorre tuttavia che, in primis, l’Europa torni (o cominci) ad essere un soggetto politico e non più un esecutore di diktat finanziari.
Pensi che ci siano possibilità per la Grecia di uscire dall’attuale crisi? Cosa pensi del programma di Tsipras? Riuscirà a mantenere fede alle promesse elettorali o dovrà sottostare alle richieste dell’Unione?
La questione non è se la Grecia uscirà o meno dalla crisi. Il vero nodo è vedere come ne uscirà. Il programma di Tsipras, per la parte inerente i rapporti internazionali, è senza dubbio coraggioso quanto doveroso per la manifesta intenzione di riacquistare una forma di sovranità nazionale che il Paese ha perduto e che di conseguenza diventa conflittuale nei confronti di chi attualmente comanda in Europa, abituato negli ultimi quattro anni ad impartire ordini ai governi greci di turno e non a consigliare, seppur duramente, vie e prassi da seguire.
Più complessa è in realtà una valutazione sul lavoro che il governo Tsipras intenderà fare all’interno del paese anche se, oggettivamente, depauperato di ogni risorsa come è, non si può pretendere che possa nel dettaglio oggi indicare una precisa scaletta degli interventi, anche se i suoi detrattori ed avversari vedono nella genericità delle intenzioni una mancanza di esperienza ed una inadeguatezza fatali. Io credo che sia opportuno concedergli ancora del tempo visto che, dopotutto, le condizioni in cui versa oggi il Paese non sono certo da essere addebitate alla sua compagine che, ricordo, fino al 2010 valeva solo un 4%. Si è avuto unicamente un piccolo accenno relativamente all’emergenza che c’è nel Paese dove la povertà ha raggiunto percentuali insopportabili (anche se poi qualcuno mi dovrà un giorno spiegare a quanto deve ammontare una povertà per considerasi “sopportabile”). La legge che prevede l’immediato impiego di 200 milioni a scopi, che senza eufemismo, possiamo definire umanitari, era atto dovuto e non a caso in Parlamento è stata votata massicciamente anche dall’opposizione. Ciò nonostante l’apparato tecnico-finanziario europeo l’ha contestata, gridando allo scandalo e manifestando per conseguenza, la propria natura squisitamente finanziaria. Le altre intenzioni manifestate per il momento dal governo sono invalutabili. Le priorità sono quelle relative all’evasione fiscale ed alla ricostruzione di un tessuto commerciale ed industriale che pure nel passato, unitamente al turismo, aveva creato non poche situazioni di eccellenza. Ma se la ricostruzione necessita prevalentemente di investimenti e questi verosimilmente torneranno, nel settore dell’evasione il discorso è ben più complesso perché si radica nella storia di questo Stato e non è derubricabile a pura e semplice cattiva abitudine. Occorrerebbe un libro a parte per spiegarne la storia e l’evoluzione. Come per tutti i nuovi governi, in linea generale, è ancora troppo presto per fare valutazioni che non siano faziose o tendenziose, dopo tutto non sono neanche passati i famigerati “100 giorni” tanto cari agli ultimi governi italiani. È atto dovuto lasciarlo lavorare ancora prima di procedere ad esternazioni consuntive.
Come vedono i greci il nuovo governo?
Il gradimento in questa fase iniziale è alto ed ha raggiunti picchi superiori al 60% e comunque è mediamente valutabile intorno ad uno stabile 50%. Certo è un gradimento ancora molto emotivo. La vicenda con l’Europa (anche se talvolta verrebbe da dire “contro”), ha risvegliato un certo orgoglio nella popolazione (che con una diversa chiave di lettura potremmo anche definire per molti una sorta di speranza) ed anche uno spirito nazionale che tuttavia non va ad alimentare quel nazionalismo estremista che già è presente nel paese ma che, al momento, è abbastanza sotto controllo. Il vero esame per il governo inizierà tra non molto quando scadenze molto onerose arriveranno anche se, occorre dire, al momento sono state onorate tutte quelle intercorse senza bisogno di aiuti supplementari, anche se ciò ha praticamente svuotato le esigue casse dello Stato. Quando la trattativa in sede europea riuscirà a sortire qualche risultato ed a prendere forma, ecco, in quel preciso momento, quando il governo potrà e dovrà dedicarsi interamente al Paese, là vedremo la tenuta in termini di consenso e soprattutto, di risultati.
Pensi che la fiducia data a Syriza possa durare? A questo proposito, il governo sta lavorando in accordo con le persone, facendo le “giuste” alleanze (sindacati, comitati di cittadini, ecc.) per garantirsi la stabilità, o lavora in solitudine?
Come accennavo sopra è prematuro parlare di movimenti all’interno del paese. Tutti sono in un modo o in un altro con il fiato sospeso. In ogni caso qui la posizione delle associazioni non ha il peso che ha ad esempio in paesi come l’Italia, sia per la differente composizione del mercato del lavoro, sia per la consuetudine di chiudersi, da parte dei vari settori produttivi, in corporazioni estremamente frammentate. Sono poche le sigle sindacali che possono dire di avere un qualche peso ed in ogni caso fra di esse molto raramente vi è concomitanza di interessi, di vedute, di programmi (come abbiamo potuto constatare in questi anni dove invece la situazione aveva preparato un ideale palcoscenico alla coesione che è miseramente mancata). E questa frammentazione certo ha giovato molto ai precedenti governi: “divide et impera”. Syriza stessa è un partito che raccoglie al proprio interno una compagine che va dagli stalinisti ai socialdemocratici e verrebbe da ipotizzare che i problemi di tenuta, una volta terminata l’emergenza, possano essere forse maggiori all’interno del partito che non all’esterno. In questo momento di grande difficoltà il governo sta vivendo una situazione di anomalo successo anche se, quanto meno, gli va riconosciuto che è stato l’unico governo che ha avuto il coraggio di cercare di ridare alle vicende del Paese una dignità politica e sociale nel momento in cui sembra essere unicamente un laboratorio per esperimenti contabili e finanziari. Difficile dall’esterno percepire l’oramai indomabile arroganza con la quale si sono mossi qui i tecnocrati della vecchia “troika”.
La stabilità del governo resta dunque questione da valutarsi in un secondo momento. Adesso l’obiettivo è acquistare la più grande quantità di tempo possibile. Poi arriveranno gli esami, gli scontri interni, il riaffacciarsi delle richieste di tutti quegli antichi privilegi che molte categorie avevano e che, in un modo o in un altro, riproveranno reclamare. Ecco che arriverà il vero, duro lavoro.
Alba Dorata quanto è pericolosa? Cosa sta facendo attualmente?
Alba Dorata è pericolosa come lo sono tutte le compagini estremiste che notoriamente proliferano in momenti come questi, quando la difficoltà ed il disagio sociale non possono trovare risposta dalle istituzioni. Il momentaneo rallentamento della loro attività dovuto anche al fatto che i deputati sono stati proditoriamente quasi tutti incarcerati e sono in attesa di processo, non rende meno importante il problema. Ma anche per loro il consenso è molto aleatorio e molto legato alla contingenza; se effettivamente potesse iniziare una fase politica e legislativa da parte dello Stato che ripristinasse servizi ed assistenze che in questi anni sono praticamente spariti, il loro peso tornerebbe ad essere ben più modesto, perché verrebbero meno quelle condizioni che hanno attivato ed alimentato il feeling con le classi disagiate. Un feeling che, si noti bene, era fondato su un vero e proprio intervento di assistenza capillare che hanno indiscutibilmente condotto in un periodo in cui lo stato, per contro, interrompeva l’erogazione della corrente elettrica anche ai bisognosi, aumentava i ticket per i medicinali fino al 25% e tagliava senza discernimento alcuno, se non l’osservanza pedissequa degli ordini della “troika”, stipendi e pensioni portando i più bassi a livelli che l’OCSE ed altre organizzazioni hanno decretato ben sotto alla soglia della povertà. Resterà ad Alba Dorata, se lo Stato potrà e vorrà intraprendere queste riforme di riequilibrio sociale, quel manipolo di ultraconservatori nazionalisti antieuropeisti e razzisti che – ahimè – ogni democrazia europea porta con sé.
Quali sono le prese di posizione e le scelte del governo greco in politica estera in relazione alle attuali crisi internazionali (Ucraina, Medio Oriente, terrorismo, ecc.)?
Quali che siano, non hanno il risalto che potrebbero avere in paesi come l’Italia. La Grecia non è un paese importante al quale si possano chiedere pareri in campo internazionale. La Grecia, per contro (e la sua storia moderna ne è un esempio lampante) è solo un paese geopoliticamente insostituibile per la compagine occidentale perché suo malgrado è in una posizione strategica. È questa la sua gioia e la sua dannazione. Il suo peso internazionale è dunque nullo in certe fasi di diplomazia, per contro sarebbe in prima linea in caso di indesiderate infiltrazioni dall’est. Emblematico ad esempio, in relazione alla vicenda dell’Ucraina, a seguito della quale l’Europa ha preso misure commerciali contro la Russia è la richiesta (esplorativa per il momento), fatta dal governo greco alla Russia stessa di poter ricominciare ad esportare nonostante l’embargo. Si tratta di capire che qui l’emergenza è totale e pertanto tutte quelle sorte di equilibri, di giochi politici basati su minacce e ritorsioni che altri paesi si possono permettere, qui non possono più essere presi in considerazione. Il terrorismo invece, almeno quello internazionale, è qui considerato un pericolo lontano; la Grecia non è simbolo di nessun potere oggi e quindi è molto difficile che possa venir presa di mira, pur tuttavia, grazie alla quotidiana conflittualità con la Turchia l’aviazione e la marina greche sono tra le più efficienti di tutto l’occidente europeo, proprio grazie ad una condizione di pressoché giornaliero allarme reale dovuto all’invasione degli spazi aerei e marittimi nazionali. Parallelamente il servizio di intelligence in questo settore è molto preparato ed attivo. Se poi si chiede per strada un qualche parere sull’ISIS, va ricordato che qui hanno subito per quattro secoli una non facile dominazione ottomana ed islamica per cui la risposta di condanna, anche senza scomodare grandi principi, viene da sé. Altra cosa è la tolleranza, francamente diffusa ovunque ad esclusione di particolari enclaves, dove tuttavia il degrado non è da attribuirsi certo all’immigrazione. Io stesso vivo in un quartiere molto abitato da stranieri, tra cui molti provenienti dal Bangladesh, ma mai, in tutti questi anni, si è verificato il benché minimo episodio lontanamente etichettabile come razzista anche se, a onor del vero, una certa vecchia borghesia, dietro la patina di gentilezza, cerca di mantenere una dignitosa distanza. Per quanto riguarda il resto del mondo, in questo momento gli altri Paesi sono tutti interlocutori possibili che possono portare nuovi investimenti e contribuire così al rilancio dell’economia e, quindi, prudenzialmente ben accetti (ne siano d’esempio i grandi investimenti già operati dai cinesi e le aperture verso la Russia putiniana).
Com’è l’Italia vista dalla Grecia? Come ci vedi tu? E come ci vedono i greci?
Se per altri paesi, in particolare europei, vi sono delle posizioni piuttosto diffuse e chiare, ancorché istintive e talvolta discutibili perché coprono deficienze interne (vedi ad esempio nei confronti della Germania o dell’Olanda), i commenti nei confronti dell’Italia sono qui genericamente improntati ad una amicizia che si perde nei secoli. Certamente fino a qualche anno fa era d’obbligo essere oggetto di punzecchiature relative ai mores berlusconiani ma, passando ad un più serio livello di discussione, va riconosciuto che si guarda all’Italia con stima ed un senso di comprensione quasi fraterna. Moltissimi sono i greci che risiedono là ed altrettanto innumerevoli sono i turisti italiani che ogni anno visitano il Paese e tutto ciò contribuisce a guardare all’Italia come ad un amico. Le recenti vicende politiche inoltre con l’avvento della “Lista per Tsipras” (non voglio annoverarvi la cosiddetta “brigata Kalimera” che reputo frutto di un errore quanto meno di marketing politico), hanno ulteriormente amplificato la percezione che vi siano compatibili modi di pensare anche se, a guisa dantesca, tale aperto e dichiarato apprezzamento politico (per quanto poi in Italia rappresenti politicamente una percentuale non troppo importante), ha finito in parte per rendere la vita più difficile all’attuale Primo Ministro che si è dovuto presentare all’Europa che conta, investito quasi di un mandato internazionale che lo ha – almeno inizialmente – etichettato come un avversario più temibile di quanto in realtà possa essere.
Personalmente vedo una Italia che sta continuando a rischiare molto, un paese che, a tratti, sembra non aver ben compreso cosa possa capitare se mai le dovesse accadere di trovarsi in casa i “commissari europei”, almeno quelli che qui hanno soggiornato troppo a lungo anche se poi, nella realtà, una disfatta italiana nessuna Europa se la può permettere e questo rischia di diventare una scusa per aggirare certi provvedimenti. Ma, superando specifiche considerazioni, credo che ogni confronto diretto sia da evitarsi. Troppo grande è la differenza tra le capacità dei due paesi in senso economico, finanziario e sociale. Al contrario certi elementi potrebbero trovare facile paragone quali ad esempio il problema dell’evasione fiscale, della corruzione, del clientelarismo, problemi comunque, rispetto ai quali fa da contraltare una abissale diversità non solo nella capacità produttiva, quanto e soprattutto nel dibattito sociale e politico che qui è ancora acerbo e frammentato.
C’è qualcos’altro che desideri raccontarci?
Vorrei potervi raccontare, molto presto, che qui hanno finalmente preso il via certe riforme in campo sociale e, soprattutto quel piano di rilancio dell’economia che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno proclamato ma mai messo in atto, con il risultato che, in mancanza di rifornimento, la benzina è finita ed il Paese che può realmente contare solo sull’industria del turismo continua a rimanere sull’orlo del precipizio. Una cosa sola mi preme ribadire. Quando Tsipras parla di crisi umanitaria non sta, purtroppo, usando un eufemismo e quando si contano oltre 300.000 persone che vivono sotto la soglia di povertà, su una popolazione che in totale non raggiunge gli 11 milioni di abitanti, si parla di percentuali catastrofiche, considerando poi che, prima di arrivare alla categoria ancora agiata, esistono fasce di popolazione a livelli intermedi che sono, oggi, dopo cinque anni di dura austerità, a vivere alla giornata e che potrebbero scivolare nel gruppo dei dimenticati, al primo leggero scossone. Ecco perché, piaccia o meno, se si vuole che la Grecia in un qualche modo riesca ad onorare almeno quella parte di debito che può considerarsi lecita e reale, deve trovare il tempo per rigenerarsi, pur con tutte le trasformazioni e le riforme che sono comunque oramai inderogabili, indipendentemente dal debito stesso.
Per chi volesse conoscere qualcosa di più su Enzo Terzi posto qui il link ad “Articolo 21” per cui Enzo, negli anni scorsi, ha scritto di Turchia oltre all’intervista fattagli nel 2012 da un’altra blogger. Buona lettura!
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!