In occasione della festa del bacalà, ripubblico gli articoli scritti anni fa sull’argomento.
La storia che sto per raccontarvi, riguarda il mio paese, Sandrigo, in provincia di Vicenza ed ha avuto inizio nel 1432 con un viaggio in mare che ha permesso al nobile veneziano Pietro Querini di far conoscere lo stoccafisso (bacalà, per noi vicentini) ai veneti.
Si tratta di una storia che continua tuttora e che comprende il diario del Querini, un naufragio, diversi viaggi in barca a vela e uno in cinquecento (che si svolge proprio in questo agosto 2012), una confraternita. Se non l’avete già fatto, andate qui e leggete il prologo.
Pietro Querini era un nobile e raffinato mercante veneziano vissuto nel XV secolo che, come tanti altri, aspirava alla ricchezza e alla gloria. Progettò quindi un
viaggio nelle Fiandre che, passando attraverso lo stretto di Gibilterra gli permettesse di arrivare ai porti di Bruges e Anversa dove commercializzare le sue pregiate mercanzie. Si recò a Candia, antico nome dell’isola di Creta, a quel tempo importante possedimento della Repubblica di Venezia. Fece approntare il veliero (700 tonnellate di stazza) con botti di vino, sacchi di spezie, legname, vettovaglie e altre merci preziose.
Si trattò di un viaggio lungo e difficile, costellato di imprevisti e lutti fin da subito: cinque giorni prima della partenza, infatti, morì improvvisamente il figlio maggiore di Querini. Il vascello prese comunque il mare il 25 aprile del 1431 navigando lungo la Costa dei Berberi. Il 2 giugno a Calese (Cadice n.d.r.) per colpa del pedota ignorante, accostati alla bassa di San Pietro, toccammo una roccia ed il timone uscì dalle cancare con grande pregiudizio. Nel frattempo, Genova e Venezia erano entrate in guerra, Querini decise pertanto di aumentare il suo equipaggio fino ad avere 68 marinai e di evitare le coste per non incontrare vascelli nemici. Ripartirono arrivando a fine agosto a Lisbona, con altri problemi al timone; nell’attesa di venti favorevoli, passarono il tempo visitando la città e le sue chiese.
Ripresero il mare il 14 settembre, con direzione sud ovest. Ma, durante il viaggio, incontrarono nimichevoli venti. Costeggiarono quindi il Portogallo, raggiungendo a fine ottobre il porto di Muros, in Spagna. Querini, che era un uomo molto religioso, ne approfittò per fare una breve visita al santuario di San giacomo. Oltrepassarono il golfo di Biscaglia il 9 novembre, in prossimità delle Fiandre, ma furono dirottati da una tempesta sempre più a nord-ovest, fino ad arrivare vicino alla costa occidentale dell’Irlanda. Il vento strappò il timone e le vele, mentre gli alberi cadevano uno dopo l’altro. Il 17 dicembre furono costretti ad abbandonare l’infelice nave, la quale con sommo studio e con gran delettazione avevo fabricata, e nella quale io avevo posto mediante il suo navigare grandissima speranza.
Proseguirono con le due scialuppe di salvataggio, nella più grande c’erano 47 uomini e nell’altra 21. Ritenevano di essere nei pressi dell’Irlanda, invece si trovavano vicino all’Islanda. Il 18 dicembre, Querini perse i contatti con la scialuppa più piccola. La tempesta li costrinse a disfarsi di buona parte del carico, compresi cibo e vino; questo provocò indirettamente la morte di molti marinai, alcuni perché bevvero l’acqua del mare, altri perché, vestiti in modo assolutamente inadeguato, morirono assiderati. Il 4 gennaio avvistarono terra, e spinti da un suavissimo vento per greco, il 6 gennaio vennero trasportati dalla corrente in un’isola dell’arcipelago delle Lofoten, nel nord della Norvegia, oltre il Circolo Polare Artico.
S
barcarono in sedici, sfiniti e assetati; l’isola era ricoperta di neve e molti di loro cominciarono a mangiarla in grande quantità per dissetarsi, ma morirono subito. Il mattino seguente, dato che l’isola era disabitata, decisero di riprendere il mare, ma la barca, che era stata in balia delle onde tutta la notte, colò a picco. Costretti a rimanere, costruirono dei ripari di fortuna con i resti delle vele e dei remi e usarono il fasciame della nave per riscaldarsi. Ma, a causa del fumo provocato dalla tettoia bagnata, si gonfiarono il viso e gli occhi; furono inoltre infestati dai pidocchi. Non avendo nulla da mangiare, dovevano accontentarsi delle poche patelle e dei molluschi che riuscivano a trovare. Dopo undici giorni uno di loro vide una capanna di legno e trovò un grosso pesce con cui si alimentarono per diversi giorni.
In un isolotto dei dintorni viveva un pescatore con due figli; essi lasciavano i buoi pascolare nell’isola dove era naufragato Querini. Temendo che i buoi fossero fuggiti dal recinto, il 28 gennaio andarono a controllare e trovarono i tredici naufraghi.
Il 3 febbraio partirono da Røst sei barche cariche di cibo e bevande dirette all’isola in cui si trovavano i superstiti; con loro c’era anche un sacerdote di origine tedesca che, parlando in latino con Querini, venne a sapere tutte le loro disavventure. Accompagnarono così i sopravvissuti a Røst, borgo forian ed estremo chiamato in suo lenguaggio “Culo mundi”.
Ecco come Querini descrive gli abitanti: Questi di detti scogli sono uomini purissimi e di bello aspetto, e così le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo: e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medeme dove dormivano mariti e mogli e le loro figliole alloggiavamo anche noi, e nel cospetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto; e avendo per costume di stufarsi il giovedì, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d’un balestro andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gl’uomini.
I maligni sostengono però che sia piuttosto strano trovare, tra i discendenti dei vichinghi, persone dai tratti marcatamente mediterranei e con i capelli neri…
Querini ebbe anche modo di conoscere ed apprezzare lo stoccafisso
: Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, son chiamati stocfisi; l’altra son passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché son pesci di poca humidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e spetie per darli sapore; et è grande et inestimabile mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per essere grandissime, partite in pezzi, le salano, e così sono buone.
I naufraghi rimasero a
Røst per alcuni mesi, accuditi e curati dai pescatori e dalle loro famiglie. Nella tarda primavera ripresero il mare per tornare a Venezia carichi di stoccafissi. Querini, infatti, aveva capito subito la praticità di questo pesce per l’alimentazione dei marinai durante i lunghi viaggi in mare alla ricerca di nuovi mondi.
Nel 1932 a Sandøy, l’isola dove si presume fossero sbarcati, fu inaugurata una stele di pietra che dice:
In questo luogo sbarcò l’italiano Pietro Querini con i pochi uomini rimasti del suo equipaggio il 6 gennaio 1432. Gli abitanti di Røst posero questa stele nell’anno 1932.
Ma, oltre alle nuove opportunità commerciali, c’è un altro motivo per cui i norvegesi sono particolarmente grati a Pietro Querini. Durante il medioevo, la cultura locale era esclusivamente orale. Sia Querini sia alcuni dei suoi marinai, descrissero le loro peripezie in un minuzioso diario che si è rivelato particolarmente prezioso in quanto unico documento in grado di testimoniare la vita dell’epoca a Røst. Il diario, attualmente conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana e che potremmo definire il primo reportage giornalistico dalle isole Lofoten, ha avuto il merito di far conoscere ai suoi attuali abitanti, quella che era la vita dei pescatori del tempo, restituendo alla Norvegia un pezzo della sua storia.
Gli altri articoli sull’argomento Pietro Querini, Lofoten, bacalà e Sandrigo:
Viaggio fra diari, naufragi e bacalà
Sulla rotta del Querini
Ricetta del bacalà alla vicentina
Sandrigo, profughi e bacalà
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Articolo molto interessante. Claudia