Ancora accordi con la Libia
Eccolo qua il baldo difensore della Patria, l’uomo che fa pubblicità agli F35 dicendo: “Per amare la pace, arma la pace”.
Lo stesso uomo che ieri ha firmato due accordi con la Libia: uno relativo all’impiego di mezzi aerei italiani a supporto delle autorità libiche per le attività di controllo del confine sud del Paese, l’altro relativo ad attività di addestramento di personale libico. Forse sarebbe il caso di ricordare al ministro che la Libia non ha ancora aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 (e chissà se intende aderirvi in futuro). Non solo, sembra che militari libici saranno imbarcati nelle unità navali italiane impegnate nell’Operazione “Mare Nostrum”. Le considerazioni nascono dalla lettura del comunicato stampa del ministero della Difesa, che potete leggere nel post più sotto.
Qui sotto, esposto per punti, quanto dichiara in proposito, su Facebook, il docente di diritto d’asilo all’università di Palermo, Fulvio Vassallo Paleologo:
La esternalizzazione dei controlli di frontiera. I rapporti con la Libia e la “cooperazione pratica” delle forze di polizia. L’Italia continua a violare il diritto internazionale dei rifugiati.
Neanche un cenno ai migranti potenziali richiedenti asilo detenuti e torturati in Libia. Per il ministro Mauro ed il suo governo, come per i libici, semplicemente, non esistono.
Dal 2004 ad oggi la collaborazione tra l’Unione Europea, la Libia, e gli stati che si affacciano nel Mediterraneo ha avuto alterne vicende, legate al cambio dei governi, nei paesi occidentali, ed alla parabola di Gheddafi, quindi alla guerra ed alla sua uccisione. Sono noti al tempo di Gheddafi i Protocolli operativi ed il “Protocollo aggiuntivo” stipulati nel dicembre del 2007 dai vertici dei ministeri dell’interno italiano e libico, intese che individuavano una catena di comando italo-libica, ed il successivo Trattato di amicizia del 2008, che recepiva integralmente quei Protocolli e ne permetteva la attuazione.
La guerra in Libia nel 2011 ne comportò la sospensione, ma non la cancellazione, ed infatti quelle stesse intese sono state richiamate da successivi accordi maturati al massimo livello tra le autorità italiane e quelle libiche, come quelli consacrati nel Processo verbale sottoscritto a Tripoli il 3 aprile 2012 dall’allora ministro dell’interno Cancellieri, ed il suo omologo libico.
Tra le intese si prevedeva la formazione di agenti libici, per rendere più efficaci i controlli di polizia di frontiera, l’individuazione di documenti falsi o la guida di motovedette.
Sempre in territorio libico si sarebbe dovuto creare un “centro di addestramento nautico” per migliorare l’utilizzazione delle motovedette donate dall’Italia a partire dal 2009.
Il Processo verbale menziona poi i “centri di accoglienza” prevedendo che a Kufra, nei pressi del confine con il Sudan, si sarebbe dovuto costruire “un centro sanitario per il primo soccorso a favore degli immigrati illegali”. Il Processo verbale firmato a Tripoli nel 2012 prevedeva anche il monitoraggio dei confini, un tema che è ritornato di attualità dopo l’incontro del Primo ministro Letta con il suo omologo libico, a Roma il 4 luglio scorso.
La Libia si impegnava allora a “rafforzare le proprie frontiere marittime e terrestri”, l’Italia a fornire “mezzi tecnici” e “attrezzature”. Ed erano previste nuove iniziative per controllare il confine meridionale anche con l’utilizzo di radar e satelliti, adesso come è noto anche con l’invio di droni. Ed è nota una recente dichiarazione pubblica della Finmeccanica sulla fornitura di droni ad un paese africano che non si è neppure avuto il coraggio di menzionare: la Libia.
L’aspetto più preoccupante del processo verbale stilato a Tripoli concerneva il tema del controllo delle frontiere marittime. Le parti italiana e libica concordavano di “adoperarsi alla programmazione di attività in mare negli ambiti di rispettiva competenza nonché in acque internazionali, secondo quanto previsto dagli accordi bilaterali in materia e in conformità al diritto marittimo internazionale”, “per le attività di contrasto all’immigrazione illegale e durante la permanenza degli immigrati illegali nei centri di accoglienza” veniva ribadito “l’impegno al rispetto dei diritti dell’uomo, tutelati dagli Accordi e dalle Convenzioni internazionali vigenti”.
Le stragi in mare che si sono verificate da allora ed i report delle principali agenzie umanitarie, come Human Rights Watch ed Amnesty International, ma soprattutto le testimonianze ormai diffuse sugli abusi e sugli stupri sistematici nei centri di detenzione libici rendono chiara oggi, a distanza di un anno e mezzo, il quadro complessivo nel quale si inserivano quelle intese.
Se non si garantisce la tutela dei potenziali richiedenti asilo in Libia, come negli altri paesi di transito, e se non si creano le condizioni per salvaguardarne vita, integrità fisica e dignità, con particolare riferimento ai soggetti vulnerabili come donne e minori, qualsiasi accordo, o misura, che potrà assumere l’Unione Europea per la sorveglianza dei confini ed il contrasto dell’immigrazione irregolare, non potrà che ritorcersi immediatamente sulle vittime.
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