Addio al contratto di soggiorno

Il contratto di soggiorno

Il contratto di soggiorno era previsto dalla cosiddetta legge Bossi-Fini. In pratica il datore di lavoro doveva compilare un modulo supplementare da spedire alla Prefettura competente per territorio.

Nel contratto di soggiorno, oltre a tutti i dati anagrafici, alla tipologia del rapporto di lavoro e alla paga prevista, il datore di lavoro doveva dichiarare il proprio impegno a pagare le spese di rimpatrio, nel caso in cui il lavoratore avesse deciso di tornare al proprio paese; doveva inoltre dichiarare che l’alloggio del lavoratore era idoneo in base alle leggi regionali di edilizia residenziale pubblica.

Un’inutile farraginosità burocratica che creava soltanto problemi al lavoratore, quando il titolare si rifiutava di fargli il contratto di soggiorno (il datore di lavoro non incorreva in sanzioni se non stipulava il contratto di soggiorno). La presentazione del documento era necessaria per il rinnovo del permesso di soggiorno (presentando anche la fotocopia della ricevuta della raccomandata che il datore di lavoro aveva inviato alla prefettura).

Ora sarà sufficiente comunicare l’assunzione al Centro per l’Impiego territorialmente competente 24 ore prima dell’inizio del rapporto di lavoro; la dichiarazione sarà valida per tutte le pubbliche amministrazioni competenti (prefettura, questura, direzione provinciale del lavoro, Inps, Inail, ecc.). Questa modifica è stata possibile grazie all’inserimento dei dati mancanti nel modello “Unificato Lav”.

C’è da sperare che i responsabili del sistema informatico che gestisce il rinnovo dei permessi di soggiorno (Poste spa), modifichino prontamente il programma (che da sempre non funziona continuando a bloccarsi e obbligando gli operatori a soste forzate), togliendo l’obbligatorietà dell’indicazione relativa al contratto di soggiorno e al codice della ricevuta della raccomandata che il datore di lavoro aveva spedito alla Prefettura.

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