Ancora sulla direttiva rimpatri
In quanto Paese membro dell’Unione Europea, l’Italia è tenuta a recepirne ed applicarne le direttive e deve farlo entro due anni dalla loro emanazione. Si tratta di direttive vincolanti, che hanno un valore gerarchico superiore rispetto alle leggi nazionali.
Questa premessa è necessaria per capire l’importanza della direttiva rimpatri – non recepita entro il 24.12.2010 dallo stato italiano.
Il contrasto all’immigrazione irregolare è uno dei punti chiave della legislazione italiana. A partire dalle modifiche apportate dalla legge n. 189 del 2002 fino ad arrivare alle modifiche della legge n. 94/2009 (dove diventa reato essere irregolarmente presenti nel territorio dello Stato), c’è stato un aumento esponenziale di norme sempre più repressive nei confronti degli irregolari.
La normativa italiana, che ora deve essere disapplicata in base alla direttiva europea, è contenuta nella legge 286/98 (successivamente modificata) agli articoli dal 10 al 17 e relativo decreto di attuazione n. 394/99 agli articoli dal 18 al 22; regolano respingimenti, controlli alle frontiere, espulsioni e trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE).
Ma di che cosa parla la direttiva? Essa prevede un meccanismo “d’intensità graduale crescente”, praticamente opposto all’attuale sistema che si basa sull’automatica ed immediata espulsione. Per la norma europea l’espulsione deve essere disposta, di norma, non con misure coercitive, ma attraverso la partenza volontaria del cittadino straniero entro un periodo di tempo compreso tra sette e trenta giorni, eventualmente prorogabili in presenza di bambini che frequentano la scuola o di altri legami familiari e sociali; prevede inoltre che “le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità” (considerando n. 3).
È prevista la necessità di stabilire “una procedura equa e trasparente con decisioni adottate caso per caso … non limitandosi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare” (considerando n. 6). A questo segue la necessità di “garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l’efficace protezione degli interessi delle persone interessate” (considerando n. 11).
Un’altra disposizione che rovescia la legislazione nazionale, è quella relativa alla misura del trattenimento nei CIE che, d’ora in avanti, sarà possibile solo nei casi di rischio di fuga o quando lo straniero eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento, salvo che nel caso concreto possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive.
“Il ricorso al trattenimento … dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti … se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente” (considerando n. 16).
In poche parole le espulsioni con accompagnamento alla frontiera non saranno più possibili, l’internamento nei Cie non sarà più possibile tranne casi gravissimi e, comunque, per periodi brevi. La direttiva inoltre, fissa in 5 anni il divieto di reingresso per lo straniero espulso, contro i 10 anni previsti dalla legge italiana.
Per evitare “lunghe fasi di contenzioso” il ministero ha emanato una circolare, firmata il 17 dicembre del 2010 dal Capo della polizia Manganelli, che fornisce l’interpretazione che le Prefetture e le Questure dovranno adottare nei provvedimenti di rimpatrio di loro competenza.
Mini glossario sui rimpatri e non solo:
1) disposta dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (esempio nei casi di terrorismo internazionale).
2) disposta dal prefetto quando “lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’articolo 10”; o è irregolarmente presente nel territorio dello Stato;
3) Espulsione a titolo di misura di sicurezza: quando lo straniero è stato condannato per gravi reati, dopo aver scontato la pena prevista;
4) Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione: per reati che prevedono una detenzione inferiore ai due anni.
Chi viene espulso ha sempre il divieto di reingresso in un paese UE per 10 anni.
Respingimento: Se ne parla nell’art. 10 del testo unico: “1. La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato.
2. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri:
a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo;
b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso”.
Il respingimento non prevede il divieto di ingresso (ovviamente regolare) in Italia o altro paese UE.
Considerando: E’ il termine contenuto nella prima parte della direttiva, dove sono elencati gli scopi per cui “il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, visto […] e considerando quanto segue” l’hanno emanata. L’introduzione è composta di 30 “considerando”.
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