Caregivers, anziani e sanità

Caregivers

Qual è la fonte della nostra prima sofferenza?

L’aver esitato a parlare.
L’aver accumulato pensieri muti dentro di noi.

Gaston Bachelard

Forte delle parole di un uomo che non è proprio l’ultimo arrivato, mi accingo al mio j’accuse nei confronti dello Stato e della mia regione per il trattamento riservato agli anziani e, soprattutto, alle caregivers che li devono, giocoforza, seguire.

Sappiamo da tempo che la demenza, nelle sue varie forme, è in rapido aumento nel mondo. Si tratta di una malattia dagli effetti drammatici, non solo per la persona che ne è colpita, ma per tutto il suo nucleo familiare ed in particolare per la persona che la accudisce in modo sistematico, la caregiver, appunto.

Le persone affette da demenza, nello stadio avanzato, arrivano a fare cose tipo: fuggire di casa, picchiare i familiari, mangiare il pannolone, fare la cacca dove capita e giocarci come fosse materiale da costruzione. Quando stanno bene fisicamente sono ancora più difficili da seguire, in quanto appunto si muovono e combinano danni inimmaginabili se appena li si perde di vista un attimo. Questo significa, da parte di chi sta al loro fianco, non avere più la possibilità di vivere la propria vita, ma limitarsi a far vivere la sua vita all’anziano – anche se il suddetto anziano non ne è più consapevole. Questo è ancora più vero e drammatico in seguito all’allungamento della vita media (che consiste nell’imbottire i vecchi di farmaci e nel tenerli in vita a tutti i costi con un vero e proprio accanimento terapeutico che nulla ha a che fare con la cura e la salute della persona), che vede aumentare in modo esponenziale gli ultranovantenni ed i centenari. La società plaude a questo risultato della scienza e, siccome nei luoghi deputati alle decisioni, i posti sono tutti saldamente in mano ai vecchi (siamo infatti una società gerontocratica), le scelte sono tutte in loro favore. Ecco quindi che la generazione precedente, quella dei figli caregivers, che non si possono davvero definire giovani, ma che non sono ancora decrepiti come i genitori, è completamente annullata in favore dei genitori anziani. E non importa a nessuno che la caregiver crolli, si ammali, entri in burnout perché non ce la fa più. Come dimostra lo stralcio del comunicato sulla non autosufficienza della regione Veneto, quello su cui si punta è tenere l’anziano in famiglia:caregivers-burnout

Considerando l’importanza di mantenere l’anziano nel proprio ambiente familiare e nel proprio contesto abitativo e sociale, e la tendenza diffusa delle famiglie ad accudire in casa le persone in condizione di non autosufficienza, da alcuni anni l’orientamento strategico sta assecondando la permanenza della persona anziana nel proprio domicilio e sta riservando l’accoglienza residenziale alle persone non altrimenti assistibili, garantendo allo stesso tempo la qualità e l’appropriatezza degli interventi, nonché l’accessibilità e la sostenibilità economica dei servizi.

Ora, dopo aver letto un testo del genere, qualsiasi persona in grado di leggere, immagina che la regione Veneto metta a disposizione cifre consistenti per l’aiuto a domicilio di chi si trova in queste situazioni ed anche la possibilità di accedere a strutture residenziali quando non è più possibile gestire l’anziano in casa. Purtroppo la realtà non è affatto questa e, con una scelta assurda e incomprensibile, scopriamo che la regione Veneto ha diminuito i fondi per la non autosufficienza, sia quelli legati all’assistenza in famiglia, sia quelli legati alle strutture residenziali.

Cosa significa tutto questo in concreto?

È molto semplice: per poter accedere a un qualsiasi aiuto economico si deve avere un reddito talmente basso da rasentare la fame. I calcoli previsti nel nuovo modello ISEE, fatti per stanare gli evasori secondo il governo, hanno triplicato il valore del patrimonio immobiliare: questo significa che, con lo stesso reddito dell’anno precedente, una persona che ha proprietà immobiliari, è tre volte più ricca (per esempio: un ISEE passa da 16.000 a 45.000 senza che ci siano state modifiche di reddito o di patrimonio). Dato che l’indicatore è rimasto uguale, è facile capire quante persone resteranno senza nulla pur avendo diritto al contributo.

Per quanto riguarda invece le strutture residenziali, bisogna fare un passo indietro e capire come funziona il meccanismo.

Si può accedere alle strutture residenziali per anziani, in due modi:

  • privatamente, se si hanno soldi a sufficienza per pagare la retta completa (dagli 80 ai 100 euro al giorno);
  • con impegnativa di residenzialità, se se ne hanno i requisiti.

 

In questo secondo caso, la famiglia pagherà soltanto la quota cosiddetta alberghiera della struttura (circa 1.500 euro), mentre la parte socio-sanitaria sarà pagata dalla regione (circa 1.500 euro). Dato però che la regione mette sempre meno soldi e dato che il numero di persone che avrebbero necessità di accedere alle strutture è sempre più elevato, succede che chi davvero può usufruire dell’impegnativa è un numero davvero esiguo di anziani, persone all’ultimo stadio, allettati e magari con sondini e intubature varie. Gli altri aspettano, e con loro i familiari e le caregivers.

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