Come in una locanda
Il libro Dentro una locanda, di cui potete leggere l’incipit qui sotto, l’ho conosciuto grazie a Laura Formenti, la docente che ho avuto la fortuna di avere ad Anghiari durante il percorso autobiografico. Laura si occupa in particolare dell’ascolto e della cura e, durante il laboratorio, ci ha letto il brano che riporto più sotto.
Un piccolo aneddoto: quando ho iniziato a leggere questo libro, ero a Cremona per un laboratorio sul consumo critico rivolto ai ragazzi delle scuole superiori. L’hotel che mi ospitava si chiamava “La Locanda” e i gestori di cognome facevano Baldini (il mio cognome è Baldin). In mano avevo il libro “Dentro una locanda”. Simpatiche coincidenze?
Sai, in fondo, tutte le volte è un po’ come fosse la prima, ogni incontro di terapia per certi aspetti è un primo colloquio.
E sempre, sempre, ho questa impressione addosso, questa fantasia di accoglienza, più che di accoglimento; come se ogni volta finissi per ritrovarmi in una locanda. E lì dentro, ogni volta che riascolto quel vento particolare della porta che si socchiude, ogni volta che lo sento allargarsi dentro la stanza mentre nello stipite si disegna una presenza, beh, mi ritorna vivace quel sapore di curiosità impastata di eccitazione.
In un giocarsi di scaramanzie rituali, mi sorprendo che mi sto assestando con le mani i capelli, che raddrizzo l’angolo della tovaglia, che mi asciugo le mani nel grembiule mentre lo tolgo per andare incontro. Come se volessi quietare lo sconcerto della novità con l’abitudine del gesto, prendendomi il tempo di scegliere la faccia con cui presentarmi.
Adesso è lì, posso guardarlo bene negli occhi; annoto la stanchezza ai lati della bocca, il ricordo dei viaggi sui vestiti, quell’aria di disincanto sfrontato mescolata alla richiesta, fra assillata e trattenuta. L’espressione che pretende sotto la cortesia delle parole che chiedono, mentre un suo sguardo mi si spinge oltre le spalle a soppesare l’ambiente, critico sulla sosta annunciata; se sarà possibile, se ne varrà la pena, come andrà il soggiorno.
E nel giro di queste poche battute già non ricordo più tutte le altre volte in cui ho compiuto quegli stessi gesti: farlo accomodare, osservarlo uscire dalla bardatura da viaggio, sedergli accanto, rivolgere uno sguardo che apre il tempo dell’incontro, attendere l’avvio. Si sistema, sceglie la posizione e c’è in mezzo una bolla trasparente di sospensione. Un senso dilatato di respiro, di abito che non stringe, mentre davanti mi si profilano leggere tracce di possibili eventi.
Ma non c’è fretta, cerco una comodità che mi faccia sentire ospitale, gioco con la luce socchiudendo gli occhi. Gusto il piacere dell’inizio prossimo.
Libri di Maria Cristina Koch
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