Daniela racconta la sua vita di insegnante
Dopo 42 anni, anche se adesso è in pensione, non è ancora stanca di insegnare, la maestra Daniela. Schiva e riservata, non ama parlare di sé, preferisce fare in silenzio.
Ecco il suo percorso: insegnamento serale a chi doveva conseguire il diploma, brevi esperienze alle medie, la primaria, fino alla scoperta, 15 anni fa, della scuola serale per adulti stranieri. «Non ho mai avuto difficoltà, insegnare la sera mi fa sentire a casa e mi ha dato tanto».
Chi frequenta la scuola e com’è strutturata?
«Ogni martedì sera per un’ora e mezza, abbiamo una media di 50 frequentanti di svariate provenienze geografiche e sociali, giovanissimi e non, maschi e femmine, la maggior parte dei quali ha già un lavoro. C’è anche chi arriva in bicicletta dai comuni vicini. Negli ultimi anni si sono aggiunti alcuni dei richiedenti protezione internazionale ospiti in paese. La scuola è strutturata in gruppi aperti di livello, dai primi passi nella scoperta della lingua e della scrittura, al livello intermedio per la certificazione linguistica, a quello più alto per chi desidera ampliare le conoscenze».
Com’è cambiata la scuola negli anni?
«Fino a tre anni fa avevamo una classe gestita da un insegnante del Centro Provinciale di Istruzione degli Adulti, riservata all’ottenimento della certificazione linguistica. Il gruppo dei volontari era scarso e gestiva i restanti studenti. Negli ultimi anni, con l’aumento degli studenti, si sono aggiunti spontaneamente diversi docenti volontari. Figure che hanno permesso di ampliare le proposte, organizzando gruppi maggiormente rispondenti alle esigenze dei frequentanti, in modo da creare lezioni personalizzate, toccando anche aspetti del sociale, utili quanto imparare la lingua».
Ci sono differenze nel rapporto con i richiedenti protezione rispetto agli altri?
«I richiedenti asilo hanno già il sostegno linguistico all’interno della struttura. Quello che è diverso è il loro vissuto. Nella mia classe, dove ci sono anche donne e persone che lavorano, non c’è stato bisogno di tante parole. C’è una specie di rispetto reverenziale nei confronti di un vissuto che si percepisce come drammatico e porta gli altri ad aiutare e supportare».
C’è differenza tra insegnare ai bambini e agli adulti stranieri?
«Sono due modalità tanto lontane e tanto vicine. Ho a che fare con persone che, dal punto di vista della voglia di scoprire, imparare e mettersi in gioco, hanno la stessa curiosità dei bambini, fanno le stesse domande. Ovviamente l’insegnamento è diversificato perché si tratta di persone mature che, pur non conoscendo la lingua, hanno un bagaglio di esperienze alle spalle».
Vi incontrate anche al di fuori della scuola?
«Con i richiedenti asilo abbiamo organizzato incontri a scuola, in biblioteca, in patronato, gite in montagna e partite di calcio per permettere loro di farsi conoscere per quello che sono, pur nel rispetto dei loro sentimenti. E poi sono stata testimone di nozze di una ragazza dell’est, senza contare chi viene ancora a trovarmi per vedere come va».
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