Elif Shafak, recensione del suo libro: “La bastarda di Istambul”
Ho scoperto Elif Shafak grazie ad alcuni Ted Talks i cui titoli sono: “La politica della narrativa” e “Il potere rivoluzionario di un pensiero diverso“. In seguito, mi sono incuriosita e ho provato a cercare i suoi libri. La recensione che vi presento oggi, si riferisce al primo libro che ho letto e che si intitola, appunto, “La bastarda di Istanbul“. Più sotto vi racconto qualcosa di lei.
Recensione de “La bastarda di Istanbul“:
Per questo libro, uscito nel 2006, Elif Shafak è stata accusata di “attacco all’identità turca” in base all’art. 301 del Codice penale turco.
Il romanzo, che si svolge fra Istanbul e l’Arizona, racconta la storia di due famiglie, una armena e l’altra turca. Due famiglie con tante donne, tanto cibo, gente strana e contraddittoria, dove convivono insieme ateismo e Islam, magia e preghiere, mondo occidentale e mondo orientale, continui colpi di scena, eventi del passato che modificano il presente. Il sottofondo è il genocidio armeno perpetrato dai turchi durante l’impero ottomano.
È una storia che, a tratti, ti fa perdere il filo, ti obbliga a tornare indietro a rileggere pezzi e frasi che avevi già trovato; che ti fa verificare se quel tal personaggio è proprio quello che ricordavi.
È la storia di due ragazze: un’armeno-americana e una turca e di un filo che lega loro e le loro famiglie. È la storia dell’amicizia che nasce fra le due ragazze. È, soprattutto, la storia di Istanbul, dei suoi vicoli, delle sue strade, dei suoi odori, dei suoi abitanti, delle sue case. Leggendo questo libro si riesce a vedere davvero Istanbul e si riesce anche a sentire i suoi profumi e il sapore del suo cibo – cibo che dà il titolo ai vari capitoli. Non scrivo altro per non togliervi la sorpresa (ci sono diversi colpi di scena), vi lascio con un brano del libro e con una breve biografia dell’autrice.
Eppure, mentre le ultime gocce si posano sul terreno e molte altre restano appollaiate sulle foglie ripulite dalla polvere, in quel momento indifeso in cui ancora non siamo sicuri che la pioggia sia finita davvero, tutto si rasserena. Per un lungo istante il cielo sembra scusarsi per il disastro in cui ci ha sprofondati. E allora noi, con le goccioline ancora fra i capelli, il fango sui vestiti e il malumore negli occhi, restituiamo lo sguardo a quel cielo, che ha assunto una sfumatura cerulea più chiara e trasparente che mai. Guardiamo in alto e non possiamo fare a meno di sorridergli in risposta. Lo perdoniamo, come sempre.
È quasi l’alba, a Istanbul. La città è appena a un passo da quella soglia misteriosa che separa la notte dal giorno. È l’unico momento in cui è ancora possibile trovare conforto nei sogni, ma troppo tardi per costruirne di nuovi.
Chi è Elif Shafak
Nata a Strasburgo – Francia da genitori turchi, Elif Shafak è andata a vivere in Turchia con la madre in seguito al divorzio dei genitori. Ad Ankara, all’inizio degli anni ’70, l’ambiente era patriarcale, le famiglie molto numerose ed i padri erano i capi famiglia. Era quindi piuttosto inusuale crescere con una madre divorziata e senza padre. Oltre alla madre, Elif ha vissuto a fianco della nonna che era una persona meno razionale ed istruita della madre. Ella praticava, infatti, la lettura dei fondi di caffé e curava le persone dall’acne. Prendeva una mela rossa e la copriva con tante spine di rosa quante erano le verruche da rimuovere; contemporaneamente, diceva delle parole in arabo e poi tracciava dei cerchi intorno ad ogni spina.
Elif racconta che questa è stata una lezione preziosissima per lei. Infatti la nonna le diceva
Se vuoi distruggere qualcosa in questa vita, che sia acne, un’imperfezione o l’animo umano, l’unica cosa da fare è circondarlo di mura spesse. Si seccherà dall’interno.
E la scrittrice prosegue dicendo che è quello che facciamo tutti: ognuno di noi vive in una specie di cerchio sociale e culturale. Nasciamo infatti in una determinata famiglia, nazione, classe sociale e diamo per scontate molte cose di quello che sta al di fuori del nostro cerchio; così il rischio è che la nostra immaginazione si possa restringere, che i nostri cuori si facciano più piccoli e che la nostra umanità appassisca.
Shafak ha vissuto sulla propria pelle i pregiudizi di bambina turca quando a otto anni si è trasferita a Madrid con la madre. I compagni di classe vollero sapere quante sigarette al giorno fumava, quando avrebbe messo il velo e notizie su un film che lei non aveva visto.
La scrittrice rivendica con forza il diritto e la libertà di raccontare storie che esulino dal suo essere di origini turche (sostiene che da una donna turca ci si aspetta solo che scriva la storia triste ed infelice di un’infelice donna turca). E dichiara – anche in riferimento al processo che ha subito – che il linguggio della narrativa non è il linguaggio della politica quotidiana. E continua
L’identità politica ci divide. La narrativa unisce. L’una è interessata allo sbarazzarsi delle generalizzazioni, l‘altra alle sfumature. Una, traccia confini. L’altra, riconosce le frontiere. L’identità politica è costituita da solidi mattoni. La narrativa è acqua che scorre.
Guardate i Ted Talks di Elif Shafak e leggete i suoi libri perché lo meritano.
Li trovate a questo link. Buona lettura.
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