Enzo Terzi su Grecia, Italia, ETPbooks

Enzo Terzi

Cari lettori e lettrici, vi ricordate di Enzo Terzi e dell’intervista in cui ci raccontava la situazione greca? Gli ho chiesto se poteva aggiornarci, visto che, in questi due anni, è successo di tutto. Eccovi quindi le novità della Grecia e non solo, viste dall’interno. Dalla sua posizione privilegiata di italiano in Grecia, Enzo ci parlerà della sua visione dell’Italia e di alcuni avvenimenti internazionali.

Scopriremo anche di come abbia fondato una casa editrice, la ETPbooks, che promette davvero bene, vista l’altissima qualità dei testi e la raffinatezza con cui sono presentati. Buona lettura e grazie ad Enzo Terzi per la disponibilità.

Grecia referendum

Dal 28 marzo 2015 come è cambiata la situazione economico-sociale della Grecia e dei greci? Cosa è successo dopo il referendum e le imposizioni della Troika?

Come spesso succede quando le attese sono tante rispetto a taluni eventi, in realtà non molto è cambiato se non lo scatenarsi delle opposizioni al governo che hanno trovato buoni alleati nel popolo degli arrabbiati. Nella sostanza i problemi gravi del Paese, che hanno negli interventi della cosiddetta troika la loro naturale conseguenza (per quanto deprecabile e paragonabile unicamente ad una richiesta di “rientro” da parte di una banca), non hanno spostato di una virgola il lento movimento franoso che sta continuando a rendere sempre più lunga una dolorosa agonia. Politicamente, le compagini di destra in realtà abbaiano, ma non hanno alcuna intenzione di impegnarsi, ben coscienti che la situazione economica del paese è tale per cui chiunque vada al posto di comando si troverebbe a poter fare ben poco con le casse vuote; la sinistra, dopo gli esiti del referendum, ha visto la scissione dei più estremisti creando un insieme di movimenti il cui unico programma è quello di contestare il “governo traditore” al punto da far rimpiangere anche un sognatore come Varoufakis che, almeno, seppur nel suo mondo tutto teorico, aveva ipotizzato programmi ed azioni a loro modo rivoluzionarie e dirompenti quanto, tuttavia, probabilmente inattuabili. TroikaIl governo dunque, seppur con una minima quanto ferrea maggioranza (solo tre voti in più gliela concedono), continua a reggere senza che nessuno con energia si proponga per la sostituzione. Mai come in un periodo come questo, godere dei benefici parlamentari stando all’opposizione è stato così comodo.

Le grandi famiglie cercano forme di franchising con imprese estere che vogliano investire approfittando dei bassi costi d’entrata; le piccole imprese e gli artigiani soffocano, chiudono, riaprono inventandosi qualche impervia strada da seguire. È un lento declino che vede all’orizzonte un costante e lento appropriarsi del paese da parte dei capitali stranieri. Chi soffriva nel 2012 soffre un poco di più, chi già era malato è morto e/o passato al mercato del lavoro sommerso. Lo Stato ha le mani legate da pastoie essenzialmente istituzionali e costituzionali, al resto d’Europa interessa solo che si faccia da argine alle orde migratorie e che ci sia un posto decente al sole quando serve.

Il consenso verso Syriza e Tsipras com’è cambiato?

Come sopra accennavo, dopo il referendum, Tsipras è stato tacciato di “traditore” per aver sovvertito il mandato che gli era stato confidato in base alla campagna elettorale, oltre che il voto popolare espresso con il referendum stesso e se anche i dettagli di tale apparente marcia indietro non sono espliciti quantunque evidentemente intuibili, ovvio che gli avversari interni ed esterni a Syiriza, la sua compagine, ne hanno approfittato per screditarlo.

Enzo Terzi, Grecia, Tsipras

E ad essi vanno aggiunti molti greci della diaspora. La domanda che ancora oggi mi pongo è questa: ma lor signori, in un paese con le casse vuote e comunque sottoposte al controllo ed al placet europeo, con una economia oramai asfittica, con una disgregazione sociale che ricorda i meccanismi corporativi del medioevo, cosa pensano che avrebbe dovuto fare un Premier insediatosi, lui ed il suo partito, da appena due anni? Sfoderare la spada e lanciare il proprio destriero contro il “nemico” (quale è poi il vero nemico?) come un novello Che Guevara? Stupidaggini di chi, come al solito, è pronto a pontificare dal proprio comodo salotto.

Non casualmente si sono sentite e si continuano a sentire unicamente le consuete critiche e mai serie proposte da dibattere, anche perché proporre, sapendo di non poter investire un soldo, non è proprio cosa facile. Le uniche due volte che Tsipras ha tentato qualche manovra di “aiuto” alle fasce più deboli non avallate ed autorizzate dalla troika, è stato immediatamente bacchettato e tali operazioni si sono – comunque – trasformate in un aumento delle imposte indirette e in un ritardo nell’esecuzione del piano dei cosiddetti aiuti. Tutto ciò non sia inteso come un’assoluzione per Tsipras che, seppur nelle ristrettezze, ha fatto pure i propri interessi e quelli del suo partito; gli va tuttavia riconosciuto il coraggio di mettere la faccia nel momento in cui tutti, indistintamente, si sono defilati, dagli aristocratici soloni (vedi Venizelos) ai drammaticamente trombati (leggi Samaras).

E sì che anche qui, quanto a riciclare, ricondizionare e far risuscitare personaggi morti e sepolti, sono bravi come e più che in Italia. Ma non ci sono sostituti da rimpiangere a questo governo, escluse preferenze riconducibili unicamente a specifici interessi. Cinquanta anni di politica condotta con metodi che tutti conosciamo non la si cancella con due anni di governo. Solo una dittatura o una rivoluzione (si tratterebbe poi di stabilire le differenze degli effetti) avrebbero potuto contentare gli spiriti più animosi a prezzo tuttavia di cedere definitivamente quel robusto tessuto di democrazia che ancora regna nel paese (creditori permettendo). Se poi vogliamo sottilizzare, indagare i singoli aspetti della conduzione politico-economica, ci perderemmo in tutte quelle discussioni che ci farebbero unicamente perdere di vista la centralità della questione. Inoltre tante piccole riforme e cambiamenti non decollano più per gli ostacoli dell’una o dell’altra corporazione, che non per oggettive impossibilità.

Qui nacque la democrazia, ma fu qui che ci si accorse che molto spesso, se non regolata, avrebbe potuto trasformarsi in un pantano vischioso incapace di far muovere chiunque di un passo. La situazione odierna dunque mostra una Grecia che non riesce a decollare nuovamente, ma oramai si parla di crisi da troppo tempo per poter camuffare dietro questa parola i propri limiti. Le “colpe” della troika non sono più sufficienti a giustificare l’assoluta mancanza di segnali in positivo. La questione, come in tempi non sospetti ebbi già a sottolineare, è e sarebbe stata una questione greca, interna ad un Paese che non riesce ancora a spogliarsi delle vecchie abitudini e che soprattutto, per quanto all’esterno mostri un amor di patria inattaccabile e financo esagerato, non si fida di se stesso, segnale anche questo di una società ancora in bilico tra vecchie e nuove caste, attente più ai privilegi che stanno perdendo che non ad investire sul futuro.

Con tale corporativismo si intersecano i vecchi e nuovi ricchi (sì ci sono ancora soldi in questo Paese), il cui unico problema è come mandare ricchezze all’estero o evaderne le imposte. Qui i greci che potrebbero non investono, e se dunque proprio loro non danno fiducia al proprio paese ed ai propri conterranei, chi dovrebbe? Sopra questo girone infernale vi sono i grandi intoccabili: armatori e grandissimi ricchi che giocando sui tavoli della speculazione finanziaria e della minaccia (i grandi armatori, di fronte al rischio di subire una tassazione dalla quale erano fino ad oggi esclusi – si badi bene – per Costituzione, hanno tranquillamente avvisato che avrebbero portato le loro aziende all’estero lasciando in regalo al governo oltre 200.000 nuovi disoccupati), impediscono certe rimodulazioni del comparto fiscale che avrebbero portato un bell’ossigeno alle casse dello Stato che, altro non potendo, ha riversato pertanto ogni aggravio sulle piccole attività e sulle pensioni, le uniche che si possono colpire, con il risultato di veder proliferare ulteriormente il lavoro nero, molto spesso unica via di sopravvivenza.povertà in Grecia

I giovani restano il problema più grande (il tasso di disoccupazione è sempre stratosferico) per quanto coloro che sono rimasti, anziché cercare in vari modi “fortuna” all’estero, si prestino e si ingegnino senza risparmio. A loro, forse, il compito di comprendere ed intraprendere nuove strade, ovvero nuovi modi di fare società e Paese riflettendo sui risultati delle spesso facili strade prese dai padri (chi se ne va e resta a lungo fuori al paese, come sempre succede, torna poi “a casa” da vacanziero nostalgico e niente più, come succede per ogni diaspora). Chi viene qui in Grecia, specie da turista, troverà tuttavia un paese i cui spettacoli di miseria non sono certo diversi da quelli osservabili in tante città italiane. Per contro vi troverà una vivacità impensabile ed anche tanta dignità: abbiamo meno e con meno facciamo anche se, come al solito, lo Stato non è partner ma nemico ed ognuno trova la propria sopravvivenza attraverso le vie più disparate. Ma certo tra il raggiungimento di una pseudo normalità nel presente e la programmazione di un futuro ce ne corre e sul futuro è ancora pesantemente poggiata una spessa coltre di dubbi e di incertezze. Tutto, in realtà, potrebbe sempre accadere.

Come avete vissuto l’arrivo massiccio dei profughi lo scorso anno? Com’è stata gestita dalle istituzioni? E come hanno reagito i cittadini?

Aspettando, Spari a Idomeni, profughi

L’arrivo in massa dei profughi è stato gestito così come un paese senza strutture può farlo. Un ruolo determinante lo ha avuto la popolazione, in specie quella delle isole coinvolte, che ha cercato di sopperire a carenze istituzionali che non era possibile attendersi. Un problema che l’Italia, Lampedusa in testa, aveva già conosciuto. Una vicenda di portata epocale cui è stato risposto di fatto soltanto con la buona volontà, la compassione e la generosità personali. E ciò, per quanto grande, non poteva bastare e non è bastato. Tanto si è scritto, troppo si è scritto fino a quando questa drammatica odissea ha fatto notizia. Ora che l’argomento è sfilato nelle pagine interne dei giornali, non se ne parla, per quanto si sia ben lungi dall’aver trovato il modo di gestire dignitosamente e con efficienza la questione, oltre al pericolo latente che lo schizofrenico Erdogan, dalla Turchia, non decida di ricominciare ad aprire l’autostrada dell’esodo. D’altronde, oramai da tempo in sede europea la gestione del problema era stata delegata ad entità sovranazionali (vedi l’altisonante operazione Triton ed altre amenità) e ciascun paese, per conseguenza, Grecia compresa, si è trovato, oltre tutto, privo delle necessarie autonomie decisionali.

Profughi Grecia

Se all’esodo si aggiungono poi i problemi nati con le frontiere chiuse da FYROM e quindi verso l’Europa (oltre quelle recentemente chiuse al confine bulgaro), il collasso istituzionale non ha tardato ad arrivare. L’improvvisazione è stata dunque il filo portante di questa vicenda e con essa la buona volontà di isolani e degli operatori delle varie organizzazioni che hanno fatto da contraltare alle vacue se non ridicole dichiarazioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza della UE, Mogherini, che ha saputo così ben personificare l’inutile inefficienza di questa Europa. Questo inverno poi, il più rigido da decenni, sta dando il suo tetro contributo a rendere difficoltosa la vita nei campi di “sosta”, molto spesso ancora allestiti con le sole tende. E su queste tende, spesso coperte di neve si rivolgono lo sciacallaggio mediatico e le bacchettate della Comunità europea senza che nessuno intervenga invece spedendo qualche container di prefabbricati (ad esempio) o apra apposite linee di credito.

A parole è una questione europea, nei fatti un problema della Grecia, così distante da Bruxelles e Francoforte, che di essa ci si ricorda solo quando il governo decide di concedere una sorta di tredicesima (200 milioni di euro in tutto) ai suoi cittadini che percepiscono pensioni minime: non si può, sono soldi delle banche europee e non si toccano! Ed il risultato sarebbe stato analogo se tali soldi fossero stati spesi per un ulteriore intervento a favore degli immigrati, oltre a trovarsi a dover fare una bella fatica a spiegare il gesto a chi, qui, vive in condizioni di povertà (per fare un gesto umanitario non si può chiedere aiuto a chi già è quasi miserabile. Avrebbero risposto di tagliare le pensioni baby, d’oro e complementari, ma se si toglie denaro a queste categorie… chi più va a spendere nei negozi?).

Rifugiato Grecia

Un esodo di questo genere poteva e doveva essere gestito dalla Comunità europea che, al solito, ha preferito rimandare i suoi biblici sinedri da un mese all’altro senza intervenire e lasciando, per contro, che tra paese e paese nascessero ridicoli quanto disgustosi episodi di attrito anche pesante e violento che forse incarnano in modo più veritiero il reale spirito “comunitario” che è quello dei nuovi muri, della Brexit e dell’ascesa non tanto di partiti cosiddetti di destra, ovvero conservatori, quanto di vere e proprie falangi xenofobe. In ogni caso (altrimenti mi domando chi abbia fino ad oggi pagato la folta schiera degli analisti, rifiutando di credere che siano tutti ciechi e deficienti tanto da non “prevedere” quanto successo ed ampiamente annunciato dagli eventi), presto o tardi sarebbe arrivato il conto da pagare e, come ci insegna la storia, anche stavolta, pur sapendo, ci siamo fatti volutamente trovare impreparati.

Come vedi l’Italia adesso rispetto al marzo 2015? E come la vedono i greci?

L’Italia non mi sembra molto cambiata. Forse l’unico elemento di diversità è il maggior numero di disorientati. Tanta era la foga e la voglia di togliersi di dosso il periodo berlusconiano, almeno per una buona fetta di italiani, che in tanti non si sono curati di valutare (addestrare e preparare) adeguati personaggi alternativi ed oggi, a quanto leggo e sento, sono fortemente delusi. E sì che l’ultimo governo, oltre a cercare di mantenere intatti i cosiddetti “privilegi della casta” (nihil novum sub sole), dava comunque l’impressione di aver messo in movimento qualche germoglio di cambiamento; in maniera criticabile quanto si vuole (io stesso non saprei esentarmene), ma in un paese dove basta una partita persa dalla nazionale per diventare tutti allenatori, mi sarei meravigliato del silenzio.

Tuttavia, fatto questo a mio parere più grave, vedo spesso – troppo spesso – la stampa e con essa tanta gente, perdersi dietro a questioni marginali, come se si volesse quotidianamente concedere la shakespeariana “libbra di carne” (un poco come anche qui è successo nei momenti importanti di questi anni di crisi) allorquando ti rendi conto che fa più scalpore lo stipendio di un deputato che non l’operato di tutto il Parlamento. Le grandi questioni sono tutte ancora da risolvere ed anzi, per sovrapprezzo, adesso si è anche determinata una sorta di incapacità a poter scegliere essendo (così si percepisce) venuto meno quel dualismo politico, una volta identificabile tra destra e sinistra che, almeno, teneva vivo il dibattito sul Paese.

Tra personaggi riciclati, scappatoie costituzionali per evitare impatti elettorali e mancanza di ricambi nelle varie scuole di politica, unitamente alla verginità grillina che talvolta si è manifestata come autentica inadeguatezza ed impreparazione personale, fatti salvi anche alcuni buoni propositi, non mi pare si preparino periodi diversi da quelli lungamente vissuti in epoca democristiana, infarciti di rimpasti di governo o di governicchi ad arte creati pur di tirare avanti. In realtà con tutta l’onestà di chi vede oramai le cose soltanto da fuori, anche in Italia, quali sarebbero o potrebbero essere, oggi, le alternative?

Quanto poi al come i greci vedono l’Italia, direi molto semplicemente che non se ne interessano (ad esclusione di qualche battuta sullo stile del “mal comune mezzo gaudio”) e come dare loro torto? Non è oggi – ahimè – un Paese da portare a simbolo; molto, troppo ha perso del proprio appeal. Inoltre, qui, almeno si è compreso che si ha bisogno di tutti e quindi, pronipoti dell’antica saggezza, si cerca di non discutere né urtare nessuno.

Vignetta PdAll’Italia addebito soltanto un grande errore e cioè quello di non aver imparato nulla dall’attuale esperienza greca che tanto, nella sua tragica realtà, avrebbe potuto e potrebbe insegnare. Ci si continua a fidare, pare, del fatto che l’Europa in un qualche modo salverà il caro stivale perché non c’è troika abbastanza potente da poterne assorbire il megadebito pubblico. Ma ci si dimentica della gente e della loro pancia che alla fine potrebbe dare una spallata ad istituzioni fragili e mal aggregate, sposando le facili e soavi sirene del populismo, ovunque esso possa portare e da qualsiasi parte possa venire (la sinistra non additi con la solita presunzione morale la responsabilità a certa destra senza dubbio “becera” come oramai la si identifica; credo oramai sia difficile fare un distinguo, dal momento che le inenarrabili ed interminabili lotte interne al Pd non possono essere più spacciate come “dibattito e laboratorio politico”, ma come vere e proprie risse per le poche sedie disponibili tanto da diventare per molti la principale occupazione, infischiandone del Paese).

La situazione internazionale (crisi dei profughi, guerre e terrorismo, elezioni di Trump, Brexit…) com’è percepita e vissuta?

La situazione internazionale, anch’essa, viene vissuta da semplici osservatori (non potremmo in ogni caso rivestire nessun ruolo diverso). Non dimentichiamoci che di grattacapi in casa propria qui la gente spesso ne ha da vendere. Certo, siamo e restiamo osservatori comunque più che interessati: siamo il baluardo occidentale posto talvolta a non più di 3-4 miglia marine da una Turchia che sta generando molta inquietudine. In Turchia ci sono quasi 80 milioni di persone, un buon 30% delle quali seguaci semianalfabete di un islamismo deviato che Erdogan maneggia come un burattinaio (giocherellando di fatto con una bomba che potrebbe anche esplodergli in mano) ed in caso di “muro contro muro” noi – 11 milioni in tutto compresi gli stranieri residenti – saremmo i primi a doverne sostenere, da soli sia chiaro, l’impatto.

Siamo la porta di entrata di tutto il flusso migratorio che proviene dalla penisola araba, flusso al quale si è da tempo aggiunto chi via terra continua a fuggire da Pakistan, Afghanistan, Bangladesh e regioni limitrofe e, se dovesse ricominciare in modo massiccio, visto che realmente vi sono oltre 3 milioni di profughi in territorio turco, sarebbe una autentica catastrofe. E se qui la questione turca (decisamente complessa per i continui sconfinamenti dei suoi aerei militari, per la questione di Cipro, ecc. ecc.), viene costantemente monitorata e l’apparato militare è quasi (per alcuni dislocamenti sia chiaro) in perenne stato di pre-allerta, è anche vero che la NATO (vedremo cosa in realtà vorrà farne Trump) non ci mollerebbe, perché un buono scudo (tra l’altro sacrificabile) fa comodo a tutti. Qualsiasi cosa succeda dunque ne saremo al contempo vittime (come è stato fin dalla indipendenza, voluta da altri, pagata da altri, imposta da altri) e forzati protagonisti.

A questo si aggiunga il fatto che, da un punto di vista economico, Russia e Cina stanno facendo la spesa, aggiudicandosi sempre un maggior numero di infrastrutture, ad esclusione degli aeroporti che nella misura di ben 14, sono stati dati in gestione alla Fraport, società ai cui vertici vi è la casa madre di Francoforte sul Meno (ovviamente vi è anche un socio greco, ma fa parte della piccola schiera degli intoccabili che viaggiano nel mondo e con i modi della finanza e non dell’imprenditoria). Il maggior aeroporto di Grecia, il Venizelos di Atene, è sin dal suo debutto per circa metà di proprietà di Avialliance, compagnia privata con sede a… Francoforte, proprietà che poi nei fatti pesa molto di più essendo l’unica che ha possibilità finanziarie.

Il terrorismo invece (almeno quello di matrice islamica) qui non ha attecchito, ma evidentemente questioni di opportunità geopolitica lo hanno impedito: mettere a ferro e fuoco una delle poche vie d’accesso all’Europa, facendo aumentare a dismisura i controlli, non sarebbe mossa saggia.

E poi la Brexit, il cui unico contraccolpo potrebbe consistere nella maggiore difficoltà pratica ad inviare studenti in quel paese, o rendere più difficoltoso per qualche ritardatario riccastro farvi compere (negli anni scorsi gli acquisti immobiliari in Inghilterra da parte di cittadini greci erano aumentati in maniera impressionate).

Donald TrumpE, infine, questo oggetto misterioso che è Trump sul quale molto si è detto, molto si è annunciato e, come succede in questi casi, meglio sarà attendere il suo insediamento, visto che negli ultimi tempi analisti e sondaggi non sembrano godere di gran fortuna. È questa una questione della quale, per il momento almeno, è inutile interessarsi, tanto niente ci potremmo fare. Altre sono le emergenze che occupano le risorse, anche mentali del Paese. In ultima analisi qui i rapporti con il resto del mondo vengono vissuti molto pragmaticamente in forma di opportunità; ci se ne occupa nella misura in cui vi sono nell’immediato degli impatti – negativi o positivi che siano – sul Paese. Il futuro è qui una cognizione molto ristretta del tempo e si conteggia al massimo in mesi. In anni si conteggiano soltanto i totali da pagare (non sarebbe sempre corretto chiamarli debiti) ed i bond che l’Europa ci autorizza ad emettere. Almeno per adesso.

Cosa pensi del referendum del 4 dicembre?

La prima domanda che mi verrebbe da fare è questa: ma il referendum sulle trivelle non vi era bastato?

Referendum 2016L’estenuante maratona che è culminata nel referendum del 4 dicembre scorso è parsa in realtà una rappresentazione da grand guignol. Credo che, in virtù della complessità della materia, non più del 10% della popolazione lo abbia colto e compreso nella sua interezza e che, in virtù delle campagne della stampa, si sia trasformato in un gioco di scommesse; molti quindi, in realtà, l’hanno vissuto come un pro o contro Renzi. Non parliamo poi degli italiani all’estero ancora più segregati quanto a notizie, salve le belle letterine dell’ultimo minuto che hanno dato – a coloro che l’hanno ricevuta – l’impressione che da qualche parte si stesse raschiando il fondo del barile visto che, di norma, nessuno da anni considera questa realtà (basti pensare le condizioni in cui versano le Ambasciate, i Consolati, gli Istituti di Cultura, le varie scuole, una volta additati da tutti come centri di eccellenza ed oggi ridotti a mendicare, se non del tutto chiusi).

Io non ho votato ma più per una scelta personale, fatta quando mi sono trasferito in un altro paese, che non per l’appuntamento in sé, senza pensare che, nella specifica occasione, il tema era, a distanza, difficilmente affrontabile. Ciò stante credo sia semplicemente sconcio proporre ad una popolazione dei quesiti di questo tipo. Sbagliato il contenuto della richiesta, atroce la formulazione, vergognosa la campagna informativa istituzionale (i non rappresentanti dello Stato hanno il diritto di presentare le cose come vogliono, sono responsabili unicamente di loro stessi e chi li vuol seguire… lo faccia pure).

Pieter Bruegel, lotta tra carnevale e quaresima

Quello che ne è emerso è stato un atto ridicolo che, per conseguenza, ha riverberato tale sensazione non solo sugli attori che l’hanno proposto, ma anche su chi si è opposto, visto che l’ha fatto molto spesso non contestando apertis verbis l’improponibilità di una simile questione, ma cavillando con i soliti toni teatrali propri di facebook e piazze similari. Il problema non era che De Gasperi si rivoltasse nella tomba perché un manipolo di giovincelli rimescolava carte che la storia ha voluto fossero state pagate anche con il sangue. La questione, quand’anche avesse riguardato la più semplice delle Cose dello Stato, andava presentata con la chiarezza, la dovizia di informazioni, la scelta del linguaggio, l’ufficialità ed anche la dignità che è dovuta a simili appuntamenti. Da qui l’impressione è che a tutto il Paese avesse dato di volta il cervello e che tutto si fosse trasformato in un’orgia di stupidaggini, bestialità e meschinità. Per questo, sicuramente, De Gasperi, Nenni, il grande Pertini, si sono rivoltati nella tomba, e non perché la difficile, quanto pregevole intenzione di voler riordinare, ammodernare, rigenerare un insieme di norme nate in momenti storici del tutto diversi non fosse necessaria, ma per i modi da fiera paesana con cui si è inteso proporre la materia. Sembrava di osservare nei mesi precedenti un quadro di Pieter Bruegel, forse proprio “la lotta tra carnevale e quaresima” dove il serio ed il faceto orgiasticamente si confondono. O ancora, tanto per ricordarci che anche da italiani abbiamo illustri predecessori, sale alla bocca lo stesso Dante: “Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta”.

È giunta voce qui in Italia che tu abbia fondato una casa editrice, la ETPbooks, Autori greci moderni e contemporanei inediti in lingua italiana, ce ne vuoi parlare?

ETPboks Enzo Terzi

Il progetto è diventato realtà dopo una lunga gestazione. Questo paese – come tantissimi altri dopotutto – ha prodotto nei secoli fior fiore di autori e testi che, nel caso specifico, sono per la maggior parte sconosciuti o quanto meno rinchiusi nel seppur augusto ghetto delle pubblicazioni accademiche anche quando avrebbero tutti i diritti di poter essere annoverati tra le letture di un pubblico ben più vasto. Parlare di letteratura greca, in Italia (ancor più che non in Francia od in taluni paesi anglofoni dove siamo presenti visto che pubblichiamo in tre lingue) molto spesso vuol dire fermarsi ai grandi dell’antichità (che oggi ritengo vivano una forzata fase di sovraesposizione, visto che molti tra coloro che ne parlano e li citano, lo fanno spesso a vanvera) e ad un ristretto manipolo di non più di cinque-sei personaggi del Novecento (Elitis, Seferis, Ritsos, Kazantzakis – e già qui dovremmo dire l’autore di “Zorba” per farlo riconoscere – Markaris e forse Papadimantis per quanto più da accreditarsi al secolo precedente). In pochi sanno – ma solo perché non vi è evidentemente stato interesse da parte del mondo editoriale a farli conoscere -, che invece non solo il novecento, ma anche l’ottocento e, seppur in misura minore, anche i secoli precedenti fino al medioevo, hanno dato a questo paese molto su cui tanti lettori dovrebbero avere la possibilità di potersi soffermare, così come si fa per le letterature di quasi tutto il mondo. Questo dunque l’obiettivo della casa editrice: far conoscere ciò che in un qualche modo vi è stato tenuto nascosto e lontano, anche se ciò, lo sappiamo in partenza, pur nello sforzo di rendere i nostri testi commestibili a tutti, non ci farà sicuramente ricchi.

[Parlo volutamente al plurale perché ovviamente dietro la responsabilità giuridica che mi vede “titolare” d’impresa, ovviamente c’è in ETP un piccolo gruppo di persone che lavorano ciascuno apportando la propria esperienza e bravura. Tra tutti spicca il dott. Maurizio De Rosa, direttore scientifico di ETP ma, soprattutto, filologo e traduttore che, ad esempio, quest’anno si è aggiudicato il Premio Nazionale per la migliore traduzione in italiano, Premio indetto dal Ministero greco per la Cultura].Maurizio De Rosa, traduzione Kavafis, ETPbooks

In Francia dove già siamo distribuiti, i primi risultati di questo progetto sono senza dubbio confortanti e promettenti. In Italia vedremo. Per adesso non abbiamo ancora individuato il distributore giusto e vendiamo solo tramite il nostro sito web. Forse quest’anno (già ci sono un paio di librerie che stanno facendo da pilota) riusciremo a coronare l’obiettivo di riuscire ad arrivare al pubblico (che sappiamo esistere), superando i problemi legati alla promozione visto che non abbiamo le certo le possibilità dei “grandi”. Nel contempo il mercato turistico qui già ci sta regalando non poche soddisfazioni, anche se l’italiano resta sempre il fanalino di coda. In questo 2017 con una particolare attenzione che rivolgeremo ai romanzi (ben 6 sono in fase di allestimento per la pubblicazione) oltre ad alcune presentazioni che stiamo cercando di allestire in alcune città italiane, speriamo almeno di trovare una corretta riposta al nostro sforzo e sapremo se, in fondo, quella di ETPbooks (abbiamo un sito se volete saperne di più) sia stata o meno una buona idea. E ringraziamo quanti hanno iniziato a fare quel “passaparola” che per noi è il miglior veicolo di promozione.

C’è qualcos’altro che ci vuoi raccontare?

Le cose potrebbero essere tante, tuttavia mi rendo conto che mi perderei in particolari forse insignificanti, personali e del tutto indegni all’interesse altrui. Spesso tuttavia mi domando se occuparsi di cultura sia davvero la buona strada. Dal 2008 tutta Europa non fa che ricordare come questo paese sia stato la culla della civiltà occidentale eppure, a guardarla questa Europa – e questa Grecia anche – tali radici sembrano così lontane da potersi spesso considerare morte. Non è dei reperti che parlo (di qualsiasi natura essi siano), ma di ciò che dopo tanta gloria, siamo, oggi.

Per fortuna c'è la Ue, CEDU, doppietta dell'ItaliaE assale il dubbio, sovente in verità, se questa non sia forse nient’altro che una forma di autocompiacimento, non sia forse l’unica medaglia che ci si possa appuntare sul petto e che con quanto allora fu, – ben meno di quanto ci si illuda -, si abbia a che spartire. Spero e d’altronde sperare è una condizione indispensabile per immaginare il futuro, che gradatamente questa pazzia che ci circonda, questa folle inciviltà che abbiamo con le nostre mani contribuito a creare (sono profondamente convinto che senza la coscienza di una responsabilità individuale non vi sia possibilità di rinnovarsi), si diradi, dando nuovo significato alla parola “progresso” e che ci possa, come oggi unicamente millantiamo, rendere effettivamente i posteri di quei tesori che tanto sbandieriamo ora per pura retorica di buonismo politico, ora per alterigia intellettuale che vorrebbe mostrarci estranei alle comuni dannazioni, ora, molto più realisticamente, perché non si sa più quale santo invocare per salvarsi l’anima e il domani. Così i Greci smettano di dare colpe alla troika, gli Italiani agli immigrati, i tedeschi al resto dell’Europa e l’Europa a Putin e così via in questa tragica fiera dell’Ovest e dell’Est dove la colpa è di tutti salvo uno. Io.

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