I vestiti del Papalagi

Papalagi

In questo brano conosceremo un misterioso personaggio: “Il Papalagi”. Ne avete mai sentito parlare? Si tratta di un essere strano che vive e si veste in modo incredibile. Per caso vi ricorda qualcuno?

Buona lettura!

Il corpo del Papalagi è avvolto dalla testa ai piedi da panni, stuoie e pelli, in modo così fitto e compatto, che non vi possono penetrare né la luce del sole né sguardi umani, tanto che il suo corpo diventa pallido, bianco e stanco, come i fiori che crescono nella fitta foresta vergine.

Fatemi dire, voi, fratelli delle molte isole, che siete più ragionevoli, che peso un solo Papalagi porta sul suo corpo: sotto a tutto una sottile pelle bianca, ricavata dalle fibre di una pianta, ricopre il corpo nudo; questa pelle si chiama pelle di sopra. Da sopra la si fa scendere sulla testa, il petto e le braccia, fino ai fianchi. La cosiddetta pelle di sotto viene infilata dal basso in alto, sopra alle gambe e ai fianchi, fino all’ombelico. Tutte e due le pelli vengono ricoperte da una terza più spessa, una pelle intessuta con i peli di un quadrupede lanoso, che viene allevato a questo scopo. Questo è il panno vero e proprio.
È composto per lo più di tre parti, di cui una ricopre il busto, una l’addome e la terza le cosce e le gambe. Tutte e tre le parti vengono tenute insieme da conchiglie e lacci ricavati dal succo disseccato dell’albero della gomma, in modo che sembrino un unico pezzo. Questi panni sono per lo più grigi come la laguna nella stagione delle piogge; non devono mai essere troppo colorati. Al massimo lo può essere il panno di mezzo, e solo negli uomini che vogliono far parlare di sé e che corrono molto dietro alle femmine.
Ai piedi vanno infine una pelle soffice e una molto robusta. Quella soffice è per lo più elastica, e si adatta bene al piede, a differenza di quella molto robusta. È ricavata dalla pelle di un forte animale, che viene immersa nell’acqua, scarnata con il coltello, battuta e tenuta al sole, finché non diventa abbastanza dura. Con questa il Papalagi costruisce poi una specie di canoa con i bordi rialzati, abbastanza grande da accogliere un piede. Una canoa per il piede sinistro e una per il destro. Queste barche da piede vengono legate e annodate ben bene alla caviglia con corde e ganci, in modo che i piedi siano in un solido guscio, come il corpo di una lumaca di mare.
Queste pelli da piedi il Papalagi le porta dall’alba al tramonto, ci fa i viaggi e ci danza, le porta anche se fa caldo come dopo una pioggia tropicale.
Poiché ciò è molto innaturale, come ben vede il Bianco, e poiché ciò rende i piedi come morti e li fa puzzare, e poiché in realtà la maggior parte dei piedi europei non riesce più ad avere la presa o ad arrampicarsi su una palma, per questi motivi il Papalagi cerca di nascondere la sua follia ricoprendo con molto sudiciume la pelle di questo animale, che sarebbe rossa: strofinandola molto la rende lustra tanto che gli occhi ne rimangono abbagliati e si devono distogliere.
Anche la donna, come l’uomo, indossa molti panni e stuoie avvolti intorno al corpo e alle gambe. La sua pelle è per questo ricoperta di cicatrici e ferite causate dai lacci. Il seno si avvizzisce e non da più latte per colpa della pressione di una stuoia che si lega dal collo all’addome, al petto e anche sulla schiena; una stuoia che è resa molto dura da ossa di pesce, fil di ferro e nastri. La maggior parte delle madri danno quindi ai loro figli il latte in un cilindro di vetro, che sotto è chiuso, e sopra ha un capezzolo artificiale. Il latte che danno non è il loro, ma quello di brutti animali rossicci e cornuti, ai quali viene tolto con violenza dai quattro tappi che hanno sotto la pancia.
Per il resto i panni delle donne e delle ragazze sono più leggeri di quelli degli uomini e possono anche essere colorati e brillare in lontananza. Fanno intravedere spesso anche collo e braccia e lasciano scoperta più carne degli uomini. Tuttavia è ben visto se una ragazza si copre molto, e la gente dice con compiacimento: è casta, il che vuoi dire: si attiene alle leggi della costumanza.
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