Io sono la madre, poesia di Valeria Mancini
Io sono la Madre. Colei che tiene il fuoco acceso. Il nume tutelare.
Che accetta la legge di Zeus
portata in dono ai mortali:
«Saggezza attraverso il dolore».
Io sono la Madre.
Colei che attende i figli e il marito per cena.
Che sbatte le uova con forza,
che accende il forno,
che alza la radio
per coprire il rumore dei pensieri.
Che sfiora il bicchiere preferito,
il segnalibro raggelato su una data,
le chiavi di casa con l’orso polare.
I’m the Mother.
Colei che grida «perchè?» alle Moire inflessibili.
Colei che sente il proprio viso deformarsi nel pianto,
che si asciuga gli occhi
con un tovagliolo
o il bordo del lenzuolo.
Je suis la Mère
qui attend son petit fleur…
Colei che aspetta, che si lava il viso, che atteggia un sorriso.
Che ogni giorno accoglie i superstiti
che tornano a casa.
Chaque jour.
Che sa che un cavalluccio marino
non tornerà a cavalcare le onde.
Eppure sorride, ricaccia le lacrime e attende.
Aspetta gli altri,
che ridono salendo le scale.
E sente che anche loro si dipingono un sorriso,
prima di aprire la porta.
Ich bin die Mutter.
Colei che guarda i figli crescere.
Che guarda i figli degli altri
crescere.
Passeggini e bambini…
un pugno nello stomaco.
Dolore sordo all’ascolto
di piccole voci in giardino.
Non si regge un dolore così.
Eppure ti tempra e ti forgia,
mentre ti sbudella.
Ti sventra, ti eviscera
dolore argentato di pesce sventrato.
Dolo, dolor, dolore: ha un suono dolce,
radice di dolcezza…
Dòleo: sento male, mi dolgo.
Sensazione spiacevole che affligge.
Dolenza, dispiacere,
desolazione, disperazione.
Deflagrazione di bomba
scoppiata dentro.
Schegge di metallo
conficcate ovunque,
sparate a raggiera, disseminate.
Basta aprire un cassetto,
toccare un libro,
sfiorare una chiave.
Oggetti tuoi,
che vivono senza di te,
e si consumano
e invecchiano.
E si coprono di polvere.
Mentre tu,
fatto aquilone,
forse guardi dall’alto
questa distruzione.
Valeria Mancini, vincitrice dell’edizione 2012 di poetry slam (25.05.12) direpoesia
Qui sotto la poesia “Io sono la madre” da me tradotta in Inglese:
I’m the mother. Who holds the fire alight
The tutelary Deity.
Who accepts Zeus’ law
brought as a gift to the mortals:
“Wisdom through pain”.
I’m the mother.
Who waits children and husband for dinner.
Who shakes eggs with strength,
who lights the oven,
who turns up the radio
to cover the thoughts sound.
Who skims over the preferred glass,
the bookmark frozen on a date,
the house keys with the polar bear.
Io sono la madre.
Who shouts: “WHY?” to the inflexible Fates.
Who feels her face get deformed in the grief,
who wipes away her tears
with a napkin
or a border sheet.
Je suis la Mère
qui attend son petit fleur…
Who’s waiting, who’s washing her face who’s putting on a smile.
Who’s every day receiving the survivors
that come back home.
Chaque jour.
Who knows that a hippocampus
won’t return to ride the waves.
And yet she smiles, throws out again the tears and waits.
she’s waiting for the others,
that laugh going up the stairs.
And she feels that they also make up a smile,
before opening the door.
Ich bin die Mutter.
Who looks the children growing up
who looks at other people’s children
growing up.
Pushchairs and children…
a punch in the stomach.
Dull listening
little voices in the garden.
Can’t stand up such a kind of pain.
And yet it strengthens and moulds you,
while it disembowels you.
It stubs and eviscerates you
silver pain of gutted fishes.
Dolo, dolor, dolorific: it has a sweet sound,
root of sweetness…
Dòleo: I feel bad, I grieve.
Unpleasant feeling that afflicts.
Distress, grief,
affliction, desperation.
Deflagration of bomb
burst inside.
Splinter of metal
hammed everywhere,
radially shot, scattered.
It’s enough to open a drawer,
to touch a book,
to skim over a key.
Your objects,
living without you,
wearing out,
getting old.
Getting covered of dust.
While you
gotten a kite
maybe are looking down
this destruction.
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