Il ministro Maroni ha affermato che la “fase più acuta dell’emergenza” sarebbe superata e che il governo provvisorio tunisino sta dimostrando “collaborazione” nell’accettare la riammissione di 60 migranti al giorno circa, con due voli che partono da Lampedusa verso la Tunisia. Ed anche i pochi migranti che sono arrivati dall’Egitto nelle scorse settimane sono stati immediatamente rimpatriati senza alcuna garanzia che i loro diritti fondamentali fossero garantiti, come invece prescrive, anche per gli irregolari, l’art.2 del Testo Unico sull’immigrazione, che in questa materia, nel solco dell’art.10 della Costituzione, richiama anche i Trattati e le Convenzioni internazionali. Per respingere alcune centinaia di migranti si stanno violando tutte le regole che lo stato di diritto e le norme comunitarie impongono a chiunque.
Si sta assistendo ad una utilizzazione illimitata della “discrezionalità amministrativa” delle autorità di polizia e del Ministero degli interni che, con la copertura governativa della dichiarazione, successivamente reiterata, di uno “stato d’emergenza”. In realtà, un vero e proprio stato d’eccezione, ben oltre i casi nei quali può ricorrere la proclamazione dello stato di emergenza con il ricorso ad ordinanze d’urgenza. Le autorità amministrative hanno applicato l’art. 10 del T.U. in materia di respingimento in frontiera, ed in qualche caso anche provvedimenti di espulsione amministrativa, come se gli immigrati giunti a Lampedusa o soccorsi in acque internazionali dalle nostre unità navali non avessero mai fatto ingresso in Italia, non fossero mai esistiti per il nostro ordinamento giuridico.. E invece qualunque ingresso, anche se per necessità di soccorso, integra la presenza effettiva dell’immigrato nel nostro territorio e l’adozione dei provvedimenti formali conseguenti, di allontanamento o di trattenimento temporaneo, disposti dal Prefetto o dal Questore.
Dove sono questi provvedimenti, quando sono stati emanati e notificati ai destinatari delle misure di allontanamento forzato, quali possibilità di ricorso effettivo sono state accordate, sulla base di quali disposizioni di legge le persone sono state condotte sugli aerei o sulle navi, con uno spettacolo mediatico indegno, con persone private persino delle cinture e dei lacci delle scarpe?
Appare evidente, anche sulla base dei filmati ripresi dalle televisioni, come a coloro che sono “rimpatriati” in Libia o in altri paesi di transito sia negato il diritto ad agire in giudizio “ per tutelare i propri diritti in materia civile, penale ed amministrativa”, previsto dagli art. 6 e 13 della CEDU e dagli artt. 24 e 113 della Costituzione italiana.
Le scelte di detenzione arbitraria e di respingimento sommario adottate dal governo italiano in queste settimane compromettono definitivamente il rapporto con quelle giovani generazioni che in Africa del nord hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di detronizzare i loro dittatori, e potrebbero anche costituire un ostacolo per il compimento dei difficili processi di transizione verso la democrazia che in quei paesi sono ancora alle fasi iniziali. Al di là di una valutazione politica delle scelte del ministro Maroni, che prima ha fatto “esplodere” Lampedusa, impedendo per tre settimane i trasferimenti dei migranti che giungevano nell’isola, e poi ha concesso tardivamente la possibilità di evacuare l’isola e di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. In base alla dichiarazione di uno stato di emergenza in Italia, che sarebbe cessato dopo appena due giorni, quando l’ennesimo decreto lo ha proclamato “in tutti i paesi del Nord Africa”. Rimangono dati oggettivi che dimostrano come il governo italiano abbia leso, e continui a ledere impunemente, previsioni vincolanti di diritto comunitario in materia di detenzione amministrativa e di allontanamento forzato dei migranti, oltre che i più importanti precetti di diritto interno e della Costituzione, a partire dagli articoli 13 e 24 e 113.
Oltre alle ipotesi di primo soccorso e assistenza, quando si deve procedere alla prima identificazione nei CPSA, qualunque altra forma di detenzione amministrativa che si realizza al di fuori dei CIE, che devono essere quelli previsti da un apposito decreto del ministro dell’interno, al di fuori delle 96 ore, e delle esigenze di prima identificazione, è illegittima. Persino all’interno dei CARA, come quello di Salina Grande a Trapani, si notano ferme, o in movimento continuo, camionette delle forze dell’ordine che limitano la liberttà personale di una parte dei migranti internati nel centro. Mentre la maggior parte degli ospiti è libera di entrare ed uscire dalla struttura, alcune decine di migranti sono trattenuti sotto stretta sorveglianza, dopo una seconda identificazione, dentro una palestra da più di 4 giorni, dopo essere stati a Lampedusa e poi alla tendopoli di Kinisia.
I CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) non possono essere utilizzati neppure parzialmente come “centri chiusi”, per espresso divieto delle leggi interne e delle direttive comunitarie, e lo stesso vale, dopo la prima identificazione, per i cd. centri di accoglienza introdotti dalla legge Puglia nel 1995. Le tendopoli definite come centri di accoglienza ed identificazione non hanno alcuno statuto giuridico, come le persone che vi vengono internate. Appare priva di qualsiasi fondamento normativo anche il trattenimento nelle tendopoli/CIE, come quelle di Manduria e Caltanissetta, recentemente istituite per decreto dal ministero dell’interno con una evidente limitazione della libertà personale dei migranti che vi vengono trattenute. E adesso si intende andare ancora oltre. Nell’ultimo decreto del 7 aprile la prospettiva evidente è quella di installare anche nei paesi del nord Africa strutture di “contrasto dell’immigrazione irregolare”, probabilmente altri centri di detenzione, o basi per operazioni di “pattugliamento congiunto”, sempre che i nuovi governi di Tunisia ed Egitto giungano a tanto, confermando gli accordi precedentemente sottoscritti dall’Italia con alcuni dei peggiori dittatori che fino a qualche settimana fa sono stati ancora al potere in Africa.
I provvedimenti di espulsione amministrativa ex art. 13, o di respingimento “differito” ex art. 10 comma 2 del T.U. sull’immigrazione n. 286 del 1998, vanno adottati rispettivamente dal Prefetto e dal Questore. Il trasferimento forzato di migranti, in assenza di provvedimenti di espulsione o di respingimento differito, da una parte all’altra del territorio nazionale, non appare conforme alla legge e soprattutto alla previsione dell’art. 13 della Costituzione. Secondo questa norma, dopo l’ingresso irregolare, ma anche nel caso di ingresso irregolare dopo lo svolgimento di una attività di salvataggio, in caso di arresto da parte della polizia, entro 48 ore deve essere informata l’autorità giudiziaria, che nelle successive 48 ore deve convalidare l’arresto. Per arresto, secondo la Corte Costituzionale, si intende infatti qualunque “limitazione della libertà personale”. Ed anche la detenzione nelle cd. tendopoli, o centri di identificazione, non può sottrarsi alla applicazione di queste regole, quando la polizia impedisce l’uscita, e pure l’ingresso di parlamentari e di associazioni umanitarie ma non convenzionate con le prefetture.
Ma altrettanto gravi sono le violazioni di cui si stanno rendendo responsabili le autorità italiane nel tentativo di respingere o di espellere il maggior numero i immigrati tunisini verso il proprio paese. In questi giorni il ministro Maroni ha invocato l’applicazione del Regolamento Schengen n. 562 del 2006, per favorire il passaggio degli immigrati tunisini ai quali l’Italia sta concedendo un permesso di soggiorno umanitario, verso altri stati europei, la Francia in particolare. Al di là della risposta di chiusura sui requisiti previsti per il transito attraverso le frontiere interne, che ha dato la Francia, seguita da Belgio e Germania, la stessa posizione di chiusura peraltro che l’Italia praticò anni fa nei confronti dei rumeni, questi addirittura cittadini comunitari, la detenzione amministrativa ed i voli di rimpatrio sommario decisi dal governo italiano costituiscono gravi violazioni delle più elementari regole prescritte a livello interno e comunitario a garanzia dei diritti degli immigrati cd. irregolari in caso di respingimento o di espulsione (e di correlato trattenimento).
La Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE appare applicabile a tutti i casi nei quali, ricorra il respingimento o una espulsione, si pratichi la detenzione amministrativa di una persona, e questo per salvaguardare l’”effetto utile “ della direttiva, come insegna la giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, per non svuotare in altri termini la portata applicativa che la direttiva voleva avere, individuando nel rimpatrio volontario la prima forma di allontanamento della persona irregolare, e solo in una seconda fase, la detenzione amministrativa ed il rimpatrio con accompagnamento forzato. Anche se finora lo stato italiano non vi ha dato attuazione, la Direttiva è immediatamente operativa e destituisce di fondamento giuridico le pratiche sommarie di respingimento e di trattenimento con le quali, anche ad evidenti scopi propagandistici, si sta cercando di allontanare verso la Tunisia alcune centinaia di migranti cittadini di quel paese giunti in Italia a partire dal 5 aprile scorso ( e i qualche caso anche prima).
Mentre si invoca furbescamente il Regolamento Schengen n. 562 del 2006 per giustificare il passaggio dei migranti di un permesso di soggiorno per motivi umanitari verso la Francia, si violano gravemente disposizioni contenute in quel Regolamento comunitario, perché di questo si tratta e non di un semplice “Accordo” intergovernativo, soprattutto nelle parti che prevedono precise garanzie in favore degli immigrati irregolari in caso di respingimento alle frontiere esterne. Disposizioni imperative, chiare, semplici, vengono violate quotidianamente dalle autorità italiane. Su queste violazioni, se non interverrà la magistratura italiana, dal momento che la violazione di legge comprende anche la violazione di atti comunitari aventi immediata efficacia precettiva in Italia, dovrà pronunciarsi la Commissione Europea, aprendo una procedura di infrazione e la Corte di Giustizia di Lussemburgo.
Secondo l’art. 13 del Regolamento 562 del 2006 ( Codice frontiere Schengen) sono respinti dal territorio degli Stati membri i cittadini di paesi terzi che non soddisfino tutte le condizioni d’ingresso previste. In particolare, alle frontiere esterne, “il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise. Il provvedimento è adottato da un’autorità competente secondo la legislazione nazionale ed è d’applicazione immediata. Il provvedimento motivato indicante le ragioni precise del respingimento è notificato a mezzo di un modello uniforme….compilato dall’autorità che, secondo la legislazione nazionale, è competente a disporre il respingimento. Il modello uniforme compilato è consegnato al cittadino di paese terzo interessato, il quale accusa ricevuta del provvedimento a mezzo del medesimo modello uniforme.
Sempre alla stregua dell’art. 13 del Regolamento frontiere Schengen, “le persone respinte hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono disciplinati conformemente alla legislazione nazionale.
Al cittadino di paese terzo sono altresì consegnate indicazioni scritte riguardanti punti di contatto in grado di fornire informazioni su rappresentanti competenti ad agire per conto del cittadino di paese terzo a norma della legislazione nazionale. L’avvio del procedimento di impugnazione non ha effetto sospensivo sul provvedimento di respingimento.
Fatto salvo qualsiasi indennizzo concesso a norma della legislazione nazionale, il cittadino di paese terzo interessato ha diritto a che lo Stato membro che ha proceduto al respingimento rettifichi il timbro di ingresso annullato e tutti gli altri annullamenti o aggiunte effettuati, se in esito al ricorso il provvedimento di respingimento risulta infondato”.
Il Regolamento comunitario n. 562 del 2006 prevede dunque formalità e garanzie che in Italia non vengono rispettate ed accorda un preciso diritto di risarcimento danni a tutte le persone che siano vittime di un respingimento arbitrario.
Occorre ricordare inoltre che in base alla direttiva 2005/85/CE ed alla normativa interna di attuazione, il Decreto legislativo n.25 del 2008, la polizia di frontiera è obbligata a verbalizzare la volontà anche espressa verbalmente di chiedere asilo, trasmettendo immediatamente la richiesta alla competente Commissione Territoriale, senza avere più quella discrezionalità nel ritenere la domanda manifestamente infondata come era previsto all’art. 1 della vecchia legge Martelli del 1990.
Le norme comunitarie violate costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico interno ed in caso di violazione da parte delle autorità amministrative vanno accertate tutte le responsabilità .
Chiediamo ancora una volta che la magistratura competente apra immediatamente una indagine
per accertare se i cittadini stranieri (ovvero alcuni dei cittadini stranieri) ospitati presso centro di Lampedusa si trovino in una condizione di illecita limitazione della libertà personale;
accertare se nei loro confronti siano stati adottati e notificati provvedimenti amministrativi -e quali – che giustifichino tale privazione d’urgenza della libertà personale da parte delle autorità di polizia;
accertare se tale privazione della libertà personale sia stata convalidata dalla competente autorità giudiziaria nei termini imposti dalla vigente normativa;
accertare se siano stati accompagnati coattivamente fuori dall’Italia alcuni dei cittadini stranieri trattenuti nel Cpa di Lampedusa ed in base a quale provvedimento, ed eventualmente se il provvedimento di accompagnamento sia stato convalidato dal competente Giudice di Pace;
accertare se nella fattispecie in esame ricorrano gli estremi del reato di cui all’art. 605 c.p., e/o altre disposizioni sanzionatorie penali legate all’abuso da parte delle autorità amministrative degli strumenti di limitazione della libertà personale..
Dal momento che gli stessi comportamenti sopra denunciati, ove accertati, costituirebbero violazione di importanti direttive comunitarie, come la direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE e gli articoli 5 e 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, occorre interessare della situazione a Lampedusa la Commissione dell’Unione Europea e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
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