Il Comitato Longasole emette un comunicato stampa in occasione del suo primo anno di attività.
Nel territorio, per il territorio: la lotta continua!
È trascorso quasi un anno dai primi incontri che avrebbero dato vita, dopo alcuni mesi, al
Comitato Longasole. Un anno è un tempo breve ed è passato in fretta, ma è anche un tempo sufficientemente lungo per guardarsi alle spalle e tracciare la linea di un bilancio. Negli ultimi mesi non abbiamo smesso di lottare, ma
abbiamo intrapreso un percorso di riflessione che ci conducesse tutte e tutti, insieme, verso una chiara consapevolezza delle nostre forze e dei nostri obiettivi. Dopo il presidio dello scorso 27 giugno, infatti, abbiamo avuto l’impressione di esser giunti ad un punto di svolta: non possiamo (né vogliamo) negare che non essere riusciti a rimettere in discussione il progetto edilizio di via Longasole abbia costituito per noi una sconfitta. Negarlo, del resto, significherebbe tradire una battaglia in cui abbiamo creduto e nella quale ci siamo spesi con determinazione, pur consapevoli delle difficoltà a cui andavamo incontro. Va tuttavia riconosciuto che l’essersi ritrovati a condividere una lotta, coniugando le nostre differenti sensibilità e costruendo insieme l’embrione di un’alternativa, si è rivelata una vittoria ben più grande e, innegabilmente, bellissima.
Abbiamo compreso insieme che a creare un territorio non è chi lo amministra o chi lo mette a valore, ma chi lo difende. Abbiamo conosciuto il valore della solidarietà, non esitando a schierarci al fianco di tutt* coloro che come noi combattono per lo spazio a cui appartengono. Di certo, abbiamo commesso anche alcuni errori: in primis la pretesa di costituire una maggioranza di opinione. Non è così: rappresentiamo una minoranza e va ammesso con onestà. Una minoranza orgogliosa del proprio agire controcorrente, ma ostinata a mobilitare sempre più persone, verso una coscienza di maggioranza nei confronti dell’ambiente in cui viviamo e della sfida globale che il presente ci impone. Giunti a questo punto, dunque, risulta essenziale porci dei nuovi interrogativi. Come risponderemo al nostro “che fare?”.
Un’immane catastrofe ambientale e sociale sta sconvolgendo la vita nel nostro pianeta: le maree che hanno travolto Venezia, i venti tropicali dell’uragano Vaia e i violentissimi fenomeni atmosferici degli ultimi anni hanno fatto del nostro territorio un fronte del disastro climatico, diffondendo un senso di angoscia più o meno collettivo. Ma l’angoscia, di per sé, non ha alcuna forza se non genera un processo di rielaborazione e riflessione. Chi negli ultimi mesi ci ha seguito ed ascoltato lo sa bene: nemmeno per un istante abbiamo creduto che la sfida si giocasse solo per il “campo davanti a casa” e non abbiamo mai ignorato le lotte che si conducevano, intanto, su fronti da noi più distanti. Abbiamo sempre ribadito, peraltro, l’importanza di difendere l’ambiente a partire dal nostro territorio. L’apocalisse climatica non ha risparmiato infatti neppure gli spazi più reconditi, ha spazzato via i boschi delle nostre montagne, ha sommerso di fango paesi di poche anime, ha sconvolto l’alternarsi delle stagioni e generato fenomeni atmosferici fino ad ora sconosciuti. Contro tutto ciò la sfida deve giocarsi ovunque, in ogni territorio, su ogni terreno, anche abbattendo i limiti ideologici che la vanificano: nessuna periferia, nessun angolo di provincia è al sicuro.
Lottare nel territorio per il territorio, imparando a viverlo in tutte le sue potenzialità future, significa anche riscoprire un’identità perduta, sommersa dalla narrazione comune. C’è stata una provincia profonda, una campagna veneta, capace di una varietà del vivere, di espressioni di originalità e dignità, che oggi tendiamo tutti a dimenticare. C’è stato un mondo paesano tutt’altro che “monodimensionale”, non riducibile ai soliti stereotipi di iperlavorismo per il profitto, di cattolicesimo conformista, di acquiescenza ai poteri forti ecc. Le tracce, le rimanenze di questo mondo molto più variegato e interessante sta a noi riscoprirle, ricostruendo genealogie e trame di racconti in cui riconoscerci, individuando esempi di un modo “alto” e “altro”, di essere in provincia, della provincia. Sta a noi “riportare il paese in paese” dando vita a un’alternativa dal basso e verso il basso, che non tema lo scontro con il presente. Vogliamo aprirci a una fase nuova, ampliare i nostri orizzonti, estendere gli spazi su cui indagare e intervenire; e ciò significa, inevitabilmente, saper essere inclusivi, nel linguaggio e nelle pratiche, per esportare la nostra lotta a un piano più profondo e a una comunità più ampia. La nostra più salda speranza risiede nella qualità delle nostre relazioni, nelle vie che collettivamente decideremo di intraprendere: è una scelta di parte, è una scommessa entusiasmante.
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