La Minga Indigena presente alla Cumbre Social di Madrid
La Minga Indigena
Quest’anno la COP25 avrebbe dovuto dedicare un tempo particolare alle popolazioni indigene che, da sempre e pagando pesantissime conseguenze, sono un baluardo a difesa delle foreste e dei territori naturali dove vivono. Purtroppo lo spostamento della sede dal Cile a Madrid, ha creato loro diversi problemi, fra i quali l’impossibilità per alcuni attivisti di ottenere un visto d’ingresso in Spagna. Più sotto troverete le esperienze degli indigeni di Panama, Cile, Ecuador, Brasile, Perù; troverete inoltre l’esperienza dell’associazione Sustaining all life, che ha proposto alcuni laboratori sul razzismo a cui ho partecipato.
La Minga Indigena è una pratica ancestrale dei popoli delle Ande, che si convoca nelle occasioni che richiedono uno sforzo comunitario per risolvere problemi di tutti/e. È una iniziativa per la difesa del territorio e della dignità dei popoli, che riguarda tutti e di cui nessuno può appropriarsi. Nelle lingue indigene, Minga significa “camminare le parole”, cioè arrivare ad accordi attraverso il dialogo. Significa rompere la paura, il terrore, il silenzio e la disperazione, usare la parola per riconoscere l’altro e le sue verità, senza dare molto importanza a un qualsiasi documento scritto.
Come sempre sentir parlare persone legate alla terra e alla natura, mi provoca un senso di meraviglia per la profondità di quello che dicono, per la saggezza insita in ognuno di loro e per la chiarezza nell’esporre il proprio pensiero.
I rappresentanti delle varie comunità indigene hanno dichiarato che per loro è stato fondamentale decidere di venire a Madrid per parlare della situazione di oppressione che stanno vivendo. Alcuni di loro, ufficialmente invitati alla COP25, non hanno ottenuto il visto per venire a Madrid. La delegata del Perù ha raccontato che il governo ha assoldato 200 sicari che ora stanno uccidendo i loro figli. In Brasile, invece, continuano gli omicidi degli indigeni difensori dell’ambiente: quattro solo nell’ultimo mese.
La cosa fondamentale per loro è mettersi insieme per lottare in difesa della terra: contro le miniere, le industrie petrolifere, contro i disboscamenti e in difesa del nostro territorio.
Non ci possiamo separare: siamo terra, siamo acqua.
Non è solo questione di passare da fossile a eolico, ma di consumare meno. La gente si deve chiedere che fare e poi lottare insieme: c’è stato chi è riuscito a vincere una causa in tribunale perché, con pazienza, raccogliendo documentazione ha ottenuto di poter restare nella propria terra senza l’inquinamento delle industrie petrolifere che vi si volevano installare per estrarre il petrolio.
Perché quello che succede è questo: devono comprare l’acqua. Non la possono bere a causa dell’inquinamento delle industrie petrolifere o delle miniere o della ricerca di minerali con uso di arsenico e mercurio che, con le piogge, si disperde e inquina tutto il territorio circostante.
Dal Brasile è risuonato con forza l’appello ad una coscientizzazione profonda, un prendere consapevolezza di quello che significa il cambio climatico. Non si tratta di creare nuovi business, io non voglio una multinazionale che mi porti il cibo, non ne ho bisogno.
da ogni roccia, fiume, sentiero, siamo qui per coscientizzare l’umanità, altrimenti non capiremo mai quello che sta succedendo.
Un peruviano Quechua ha raccontato la sua esperienza: suo padre, fin da piccolo, gli diceva: “Tu devi continuare a lavorare la terra”. Però lui è andato a vivere in città e la città gli piaceva moltissimo: grazie ai mezzi pubblici non doveva più fare estenuanti camminate di chilometri e, grazie ai soldi, poteva comprarsi molte cose. Dopo alcuni anni è tornato al villaggio ed ha scoperto che non riusciva più a camminare come prima, perché era diventato grasso – ed ha precisato: “Grasso, non muscoloso come gli uomini del villaggio. Allora ho capito che vivere in città per me era sbagliato e sono tornato a vivere nel mio villaggio lavorando la terra come mi aveva detto di fare mio padre”.
Un’altra battaglia degli indigeni è quella relativa ai semi: la semilla che per loro ha un valore sacro e racchiude in sé la saggezza. Le multinazionali, come Monsanto, stanno brevettando i semi e questo ha un effetto devastante su di loro perché così sono privati del loro cibo.
E poi un punto chiave: chi ha prodotto l’inquinamento? Perché devono pagare loro, che non hanno fatto altro che difendere la natura in cui vivono? Questo è un punto fondamentale che deve servire a ristabilire la verità in modo che i popoli indigeni non si trovino a dover pagare due volte le colpe che sono dell’occidente.
Infine, un accorato appello rivolto ai presenti
quelli che fra voi sanno usare bene la tecnologia: parlate, raccontate al mondo quello che ci succede.
Minga Indigena e ascolto attivo
Ho partecipato al alcuni laboratori dell’associazione Sustaining all life, che si occupa del razzismo in relazione al cambio climatico.
Nell’introduzione ci hanno ricordato che eravamo persone di diverse nazionalità e lingue, e quindi ritenevano molto importante prendersi del tempo per tradurre quello che ognuno diceva nelle maggiori lingue parlate dal gruppo, per essere sicuri che tutti capissero. Inoltre, ogni venti minuti, il gruppo resta in silenzio per un minuto, questo serve per liberare la mente e poter poi proseguire con una concentrazione maggiore. Il percorso ha visto momenti di spiegazione alternati a momenti di attività in coppia sull’ascolto.
La tecnica sviluppata negli anni dalla loro associazione è molto semplice ed ha alcune regole basilari altrettanto semplici e facili da applicare. Hanno elaborato un sistema per ascoltarsi e capirsi meglio e spiegare ciò che pensano sul razzismo. Ritengono che sia importante stare attenti alle oppressioni come razzismo, sessismo e violenza. Serve una maggior attenzione per poter capire meglio e liberare la mente da tutto questo. Stare attenti a come ci si sente e condividerlo con altri permette di sopportarlo meglio – perché si divide il peso dell’oppressione con gli altri e aiuta a fare rete. Nella loro personale esperienza, quest’attività di ascolto reciproco, col tempo, diventa un’esigenza irrinunciabile.
Hanno poi elencato alcuni punti relativamente al maltrattamento personale:
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Il maltrattamento personale lo abbiamo vissuto o visto tutti e tutti quindi siamo potenzialmente capaci di farlo con altri – perché chi subisce maltrattamenti e si tiene tutto dentro non può elaborare il proprio dolore spesso, da adulto, finisce per essere maltrattante o nuovamente maltrattato;
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la tendenza a colpevolizzare gli altri non è produttiva per capire noi stessi;
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importante riflettere su come ci modella la società in cui viviamo;
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parlando del razzismo, è importante rendersi conto che la crisi climatica arriva dalle disuguaglianze.
L’esercizio di ascolto proposto, si basa sulla consapevolezza che ogni persona ha in sé l’intelligenza di cui ha bisogno per capire quello che le succede e può quindi lavorare successivamente su di sé. Per questo l’esercizio è di ascolto profondo e attento, prestando all’altro tutta la nostra attenzione.
Le regole sono poche e semplici: si tratta di un ascolto in coppia dove entrambe le persone avranno un tempo uguale per raccontare un episodio di razzismo che hanno vissuto.
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Si stabilisce un tempo (es. 3 minuti ciascuno);
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Mentre uno parla l’altro deve solo ascoltare;
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Si deve mantenere il contatto visivo;
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Non si può interrompere, commentare, consigliare, l’altro: si deve solo ascoltare;
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Il flusso del discorso non dev’essere interrotto;
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Ci dev’essere un clima di confidenza e quello che viene detto nella coppia non deve uscir da lì;
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Non importa se si parlano lingue diverse, lo scopo è permettere a chi parla di raccontarsi per chiarirsi.
Tutti voi che state leggendo potete provare a mettere in pratica questo semplice esercizio di ascolto attivo.
Per finire aggiungo che le regole presentate per l’ascolto, sono le stesse che si mettono in pratica durante i laboratori di scrittura autobiografica, con l’unica differenza che in questo secondo caso poi si scrive ciò che si è ascoltato.
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