Le regole educative oggi
Ho pensato di condividere con voi gli appunti presi durante gli incontri per genitori a cui ho partecipato. Mi sembra ci siano spunti interessanti per tutte le persone che si trovano a vivere l’esaltante e difficile esperienza dell’essere genitore.
Le regole educative nella società delle opportunità: Relazione della dottoressa Carla Ferrari Aggradi
Oggi il territorio è vissuto a livello fisico, ma il contesto in cui crescono i ragazzi è il mondo, con tutte le sue interconnessioni. Questo ci dà grandissime opportunità, ma anche tanta confusione perché ci è difficile capire quello che succede. La tendenza è quella di chiudersi in casa per una ricerca di sicurezza, il rischio è quindi quello della solitudine. E quindi: “A che cosa stiamo lavorando? Quale mondo stiamo costruendo per i nostri figli? Sappiamo ancora sognare?”.
La dottoressa Ferrari Aggradi sostiene che si danno delle regole in nome del futuro e che i nostri figli, il futuro, lo vivranno con i figli degli altri. È importante quindi sentire come nostri tutti i figli e non soltanto quelli che abbiamo generato.
Citando Galimberti ci dice che: “Non viviamo più nella natura, scandita da un tempo ciclico, (alzarsi con la luce del sole, seminare e raccogliere…) ma nemmeno nel tempo della storia presente, importante per la costruzione di un mondo migliore (e qui ricorda gli anni in cui le persone si sentivano parte della storia e suoi artefici). Piuttosto, viviamo nell’accelerazione del tempo, scandita dalla tecnologia che non ci dà il senso del futuro, e quindi il senso della vita”. Per questo c’è difficoltà nel dare regole. Il mondo virtuale, la possibilità cioè di entrare in contatto, tramite il computer, con persone sconosciute e lontane è un’attività che non ci fa sentire il presente, è talmente veloce che, mentre scrivo è già passata. Virtuale per ora è quasi opposto al mondo reale: oggi la realtà c’è e si tocca, ma come sarà in futuro? I nostri figli, hanno in mano strumenti che conoscono meglio di noi. Non si tratta di demonizzare le nuove tecnologie, ma di prendere coscienza che non sappiamo dove ci porteranno le infinite opportunità di cui stiamo parlando. Cosa significa vivere nella società delle opportunità? Queste opportunità sono per tutti? Sono davvero infinite, o diminuiscono sempre più, man mano che i nostri figli crescono? (per esempio per i giovani che cercano lavoro).
L’impressione da psichiatra, rispetto alle moderne tecnologie, è un’idea di onnipotenza, il desiderio dell’uomo di sottomettere il mondo.
Alcune riflessioni:
– Siamo più informati di una volta, ma le notizie ci sfuggono perché sono troppe. Per esempio, sentiamo parlare delle guerre e della fame insieme a tante altre notizie e non siamo in grado di stupirci, perché siamo assuefatti. Perciò l’informazione diventa inefficace, perché non siamo in grado di selezionare le notizie e fare una cernita.
L’istruzione è maggiore rispetto a cinquant’anni fa, tutti vanno a scuola, ma la scuola si allunga, diventando quasi un parcheggio. Oggi ci vuole la laurea per fare il lavoro per cui, fino a pochi anni fa, era sufficiente il diploma. Non c’è più la garanzia di trovare un lavoro con l’istruzione ricevuta.
Poter comunicare con tutti, aver accesso ai mezzi di comunicazione, ci fa sentire al centro, ci fa sentire cittadini del mondo. L’illusione è che il passaggio sia positivo, cioè che nel mondo, ci sia benessere per tutti. Invece non è così vero che le nuove tecnologie permettono a tutti di stare meglio; sappiamo che pochi si sono arricchiti e moltissimi si sono impoveriti.
Ferrari Aggradi cita un film di Kusturica: “Underground”, che parla di un gruppo di abitanti della ex-Yugoslavia che, in seguito alle distruzioni causate dalla guerra, si sono rifugiati sottoterra e hanno ripreso a vivere laggiù nella speranza di un futuro migliore che, prima o poi, sarebbe arrivato. Ma chi era rimasto su, non la pensava allo stesso modo e continuava la costruzione e vendita di armi per altre guerre.
È come se ci fossero due mondi, quello della “formichina” (ognuno di noi) che crede e sogna un futuro migliore e quello di chi ci governa, che si occupa di finanza, alta economia e pensa poco a noi. Si tratta di sconnessioni: noi facciamo fatica a incidere e se decidiamo di voler incidere, dobbiamo spendere tanta energia. C’è una scissione fra il mondo che conta e il mondo che vive. Che rapporto c’è fra questo mondo superiore e quello delle formiche? Quando si intersecano questi mondi? Come fanno i cittadini a far cambiare qualcosa?
Il valore trasmesso da questa universalizzazione, è una globalizzazione delle culture, un creare uniformità dei pensieri e quindi una perdita del sapere particolare. Ma non si può perdere la propria identità (sia personale, che collettiva), la globalizzazione attenta a questa identità e ci ha portato precarietà, guerre, fame, uragani, difficoltà a trovare lavoro, malattie; questo perché l’uomo, in tutte queste situazioni, ha molto spesso una parte attiva (costruzione e vendita di armi per le guerre; cambiamenti climatici per gli uragani ecc.).
Un altro termine che sentiamo spesso è flessibilità. Fa parte del concetto di mercato, e significa che bisogna imparare a vendersi, adattandosi alle esigenze del mercato. E questo va contro il concetto di identità, e proprio dopo che i genitori hanno fatto un grosso lavoro educativo per trasmettere al figlio l’idea della propria identità. Un’altra parola di moda è Competizione. Significa che dobbiamo vincere e tirar fuori il meglio di noi stessi. Ma la competizione non può essere senza limiti, altrimenti diventa negativa. Queste questioni portano gravi disagi alle famiglie, ai ragazzi perché noi uomini, siamo animali sociali, fatti per costruire insieme delle cose. La globalizzazione, invece, porta alla difesa del proprio orticello, a difendere quello che si ha per sopravvivere. Se tutto è precario, se io devo essere flessibile all’estremo, se devo competere e vincere per sopravvivere, non posso permettermi di concedere qualcosa agli altri, perché non so come sarà il mio futuro e lo devo difendere a tutti i costi.
Un’altra questione è chiedersi se davvero tutti possono fare tutto nel mondo globalizzato. Dire che è tutto responsabilità individuale, è semplificatorio e deresponsabilizzante perché c’è una disparità nelle opportunità.
Socrate disse: “Bisogna incominciare a educare un bambino quando nasce suo nonno”. Oggi non è più sufficiente perché c’è uno spazio sociale che influisce sulla questione dei valori fondamentali. È sempre più difficile fare la propria parte. La vita bisogna costruirsela su valori condivisi. Ricordando che: “Ci vuole tutta una città per educare una bambino” ci possiamo chiedere quali valori possiamo agire insieme. Devono essere gesti che portino a un mondo umanamente vivibile, magari rivedendo questo modello di sviluppo. Altrimenti, quali regole potremo dare ai nostri figli per renderli abbastanza forti da vivere in un mondo fondato su precarietà, flessibilità e incertezza?
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