Nella casa con le luci
Ecco a voi l’incipit del bellissimo libro di Paolo Barbato “La casa con le luci”. Buona lettura!
Eccomi finalmente. Un’ora di autobus tra i campi, verso la costa. Rare fermate, mai salito nessuno. Ma dove li hanno cacciati. Entro, e mi succede subito.
Alt – mi fa il portiere – , aspetta. lì. Aspetto. Di fronte, dall’altra parte della saletta, c’è una donna seduta, una vecchia. Magra, lunga lunga. Forse non tanto vecchia, viso sbiadito, a triangolo. Ci guardiamo, mi guarda: è lei di sicuro. È da lei che devo venire. Dio mio, due bastoni; uno a sinistra e uno a destra. Due bastoni di metallo con tre punte.
Totale sei punte.
Si alza, le vado incontro: Christa – dice, Roberto – rispondo. È lei. Un occhio un po’ più grande, l’altro più piccolo. Come se strizzasse l’occhio, forse un tic. La tocco sì e no, sfioro un braccio o una mano. Lei non può toccarmi, con quei bastoni: sorride. Labbra strette, sottili. La tocco appena; e patatràc, è già lì per terra. Lunga distesa, tra i bastoni. Sono qui da un minuto, e lei è lì e non riesce più a muoversi. Un bastone di qua, uno di là.
Arriva il portinaio, un’infermiera, un piccoletto con faccia da porco. «Ma che hai fatto?» Il portinaio con una manata mi butta da una parte. L’infermiera, anche lei: Ma che hai fatto. L’altro, con quella faccia: Bestia – che sarei io. Lui, è un dottore. Lei, con l’occhietto verde lì a terra: apre e chiude, ma non strizza più.
Ma se non l’ho neanche toccata. Bestia lo stesso. Provo a tirarla su. «No, no tu non sai fare». Pronta la barella, l’ascensore, via. Sparita. Resto qui coi due bastoni. Raccolgo i bastoni, li appoggio alla sedia. Maledizione, ho fatto fuori la vecchia.
Casino d’inferno – l’ascensore di servizio. Esce l’infermiera, prende i bastoni. Ti costerà, eh – soffia – , ti costerà. Rientra in ascensore, di nuovo: «Ti costerà». Ma va’. Sparisce coi bastoni.
Porca miseria, e io che ero venuto qui per guadagnare qualcosa.. è stato Nando, il capo della Cooperativa, a convincermi: «Tre o quattro ore con loro: guadagni quel che ti basta, e te ne sbatti di fare il militare». Su e giù in Portineria, aspetto notizie, non si vede nessuno. Torna il piccoletto, con quella faccia che uno si domanda che mestiere può fare con una faccia così. Ah, dimenticavo, è il dottore.
Mi guarda: Mai toccarli i vecchi, stare attenti a non toccarli. Come minimo ne avrà per venti giorni, forse quaranta, forse sei mesi. Vedremo se è incrinato, se è rotto, se è niente. Venti, quaranta, sei mesi. Ti costerà, eh. Eh-eh-
Hai notato le ore sul cartellino? – interrompe il portinaio – . Notata l’ora di entrata? Batti subito, batti.
Batto cosa?
Lì l’orologio.
Mi urlano dalle scale: «Tra un’ora, puoi venire su tra un’ora. Al 214». ancora un’ora. Però, mi pare un buon segno.
Allora vado un po’ in giro, butto un occhio, comincio a conoscere il posto. Un’ora.
Mi costerà, eh, mi costerà. Ma se non ho un soldo. Batto, sì, batto. Ma che cosa, se non ho neanche il cartellino.
Paolo Barbaro, La casa con le luci
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