Niente sacrifici per gli F 35

F35

La campagna contro gli F-35, forte del sostegno ricevuto in questi mesi, rinnova l’invito a ripensare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35: una scelta costosa ed inutile che bloccherà diversi miliardi di euro in più anni mentre ai cittadini si chiedono sacrifici nel campo del welfare, della scuola, della sanità. Rilasciati dati aggiornati su costi e sprechi del caccia e sui tagli “leggeri” che il comparto militare subisce dalla spending review e dall’ipotizzata “riforma” proposta dal Ministro Di Paola.

In una conferenza stampa tenuta al Senato della Repubblica (e seguita da un presidio della Campagna davanti alla Camera dei Deputati i coordinatori delle tre organizzazioni promotrici Giulio Marcon (Campagna Sbilanciamoci!), Flavio Lotti (Tavola della Pace) e Francesco Vignarca (Rete Italiana per il Disarmo) hanno illustrando con dati ed analisi la situazione relativa alla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter F-35 e il punto della situazione sulle spese

militari attuali e future. Nel corso degli ultimi mesi di mobilitazione (all’interno della seconda fase di “Taglia le ali alle armi!”, campagna iniziata nel 2009 e rilanciata a settembre 2011) oltre 75.000 firme cittadini, 650 associazioni e più di 60 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni) hanno deciso di sostenere la richiesta per una cancellazione del programma. La giornata odierna intende concludere un percorso che ha visto una crescita di consapevolezza sulla questione da parte dell’opinione pubblica stimolata anche dai dati prodotti dalla Campagna “Taglia le ali alle armi”.

Dati e considerazioni che smentiscono la posizione ufficiale del nostro Ministero della Difesa sia sui costi sia sullo stato di avanzamento del programma F-35. Tutti i paesi partner si stanno attualmente interrogando sull’opportunità della propria partecipazione (Stati Uniti compresi dove il presidente del Comitato sui Servizi Armati del Senato ha chiesto ufficialmente di mantenere “pressione continua” su Pentagono e Lochkeed Martin per ridurre costi e problemi) mentre il nostro Governo continua a ribadire, senza confronto, una scelta insostenibile. Fornendo nel contempo al Parlamento dati palesemente fuorvianti, soprattutto sulle cifre di costo che non sono compatibili con quelle fornite sia dalle aziende produttrici sia dalle stesse Forze Armate statunitensi. “Non sappiamo definire se non incredibile l’ostinazione con cui i funzionari del Ministero – anche in audizioni parlamentari – continuano a sostenere che ogni velivolo costerà meno di 80 milioni mentre i dati di base del Pentagono già oggi si attestano su oltre 130 milioni di euro”, dichiara Francesco Vignarca coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo.

L’analisi dei dati ufficiali sul programma recentemente resi disponibili dimostra come il costo di acquisizione totale per gli Usa (che avranno oltre il 70% degli aerei) si attesti su 396 miliardi dollari, con un incremento di 117,2 miliardi dollari (42%) rispetto alle ipotesi iniziali. L’inizio della fase di produzione a è indicata per il 2019, con un ritardo di 6 anni sulle previsioni del programma. “Tutti i dati dimostrano come i costi unitari per aereo siano raddoppiati dall’inizio della fase di sviluppo nel 2001 e solo il 17% dei test tecnici previsti sia stato completato. Come si può far finta di nulla di fronte a questi numeri?” conclude Vignarca. Anche con l’ipotizzata riduzione a 90 velivoli per l’Italia il costo complessivo di solo acquisto si attesta quindi sui 12 miliardi di euro, senza contare i costi di mantenimento ed esercizio successivi. Non a caso la scorsa settimana, in maniera compatta, il Parlamento Olandese ha votato una risoluzione per uscire dal programma dando indicazione in tal senso al governo che uscirà dalle elezioni, mentre l’Australia ha deciso a maggio di spostare di ulteriori due anni la propria decisione di acquisto. Roventi polemiche sono invece in corso sia in Canada che in Norvegia perché le scelte di partecipazione al progetto JSF sono derivate da dati fasulli ed incompleti forniti deliberatamente da ufficiali militari favorevoli al caccia F-35. Il Governo italiano invece continua per la sua strada e non intende avere una franca discussione né in Parlamento né con un confronto con la società civile rappresentata dalla nostra Campagna. Non ci si deve stupire del mantenimento di questa linea da parte del Ministero della Difesa, perché è stato l’attuale Ministro-Ammiraglio Di Paola a sottoscrivere (poco più di 10 anni fa nel giugno 2002) la partecipazione italiana alla fase di sviluppo del Joint Strike Fighter.

Ma continuare a negare l’evidenza dei problemi tecnici (ribaditi anche in un recente rapporto del Government Accountability Office statunitense) e a ribadire i miraggi di mirabolanti ritorni occupazionali, industriali e tecnologici (messi implicitamente in dubbio dalla stessa Finmeccanica in una comunicazione ufficiale al Parlamento) costituisce solo una presa in giro verso gli italiani. Che invece devono affrontare i tagli e i sacrifici imposti da questo Governo al fine di salvaguardare scelte di bilancio che, in alcuni casi come quello dell’F-35, sono davvero incomprensibili. Il tema del caccia F-35 si inserisce però nella più ampia discussione sulla spesa militare del nostro paese, anche alla luce della revisione dello strumento militare (il cosiddetto DDL Di Paola) in corso di discussione in Parlamento e della “spending review” varata dal Governo. “Con la spesa complessiva prevista nel corso degli anni per gli F-35 si sarebbero potute evitare le scelte più rovinose confermate nei giorni scorsi – sostiene Giulio Marcon coordinatore di Sbilanciamoci! – il taglio agli enti locali, la riduzione dei posti letto negli ospedali, le misure di revisione del sistema delle tasse universitarie. Ad esempio con il risparmio della mancata acquisizione di 10 caccia bombardieri F-35 avremmo potuto salvaguardare i 18mila posti letto che verranno tagliati negli ospedali nei prossimi mesi”. Entrambi i provvedimenti (la riforma dello strumento militare e la parte di riduzione di costi nel comparto) devono essere ancora confermati dal Parlamento ma le prime stime che si possono effettuare indicano come i tagli per il comparto militare saranno più leggeri e privilegiati rispetto a quanto previsto per le altre aree di spesa pubblica. Non ci sarà alcun vero risparmio ma solo uno spostamento di risorse verso nuovi acquisti di sistemi d’arma. Mentre il Governo ha infatti deciso di intervenire ancora una volta in maniera drastica sulla spesa sociale e sanitaria, le riduzioni per la Difesa e per l’acquisto di armamenti si limitano a poche decine di milioni e definiscono una diminuzione degli effettivi delle Forze Armate che si realizzerà solo dopo diversi anni, e con una protezione salariale derivante dal trattamento di ausiliaria. Nelle bozze definitive del provvedimento di “spending review” – nonostante ipotesi iniziali di altra natura – non vengono toccati gli investimenti per l’acquisto di armamenti: un’ipotesi di taglio di 100 milioni anno sui capitoli di spesa per le armi è stata infatti all’ultimo momento rigettata. La norma avrebbe “garantito un risparmio di spesa di importo non inferiore a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, anche in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni” ma non se ne è fatto nulla e solo poche decine di milioni saranno sottratti a programmi come la Mini-naja, il fondo riassunzioni e l’Agenzia Industrie difesa.

Viene inserito un taglio di almeno il 10% sugli organici (un primo passo di quanto previsto dalla riforma Di Paola) ma anche in questo caso con la messa in aspettativa pagata: un ammortizzatore che avviene in maniera privilegiata solo per il personale militare e solo in questo comparto. In sostanza, come già esplicitato dalle organizzazioni del disarmo e sottolineato nelle analisi di questi ultimi anni (prima fra tutte quella contenuta nel libro-inchiesta “Il caro armato” già nel 2009), si scelgono tagli ridotti e sulla carta solo per poter aver mano libera nell’acquisto di nuovi armamenti: oltre ai caccia F-35 sono centinaia i milioni di euro stanziati negli ultimi mesi per missili, blindati, cannoni, sommergibili. “Opporsi agli F35 e al DDL Di Paola non è affare da pacifisti ma da gente responsabile – dichiara Flavio Lotti coordinatore di Tavola della Pace – Parliamo di almeno 230 miliardi di euro di denaro pubblico sottratti ad un paese, il nostro, in grandissima difficoltà. Se il progetto venisse approvato così com’è entrato a Palazzo Madama ci ritroveremmo con un superministro della Difesa, dotato di poteri e autonomia senza pari, capace persino di vendere armi nel mondo. E con uno strumento militare ipertrofico, costosissimo, modellato sui livelli di ambizione di qualche generale e di un complesso industriale che sembra dettare le linee politiche ai politici. Uno strumento vicino più ai campi di battaglia che alla Costituzione”.

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