Le parole della comunicazione – 2
Proseguendo nel ragionamento relativo alla comunicazione intendo parlare del modo di comunicare del presidente del consiglio Mario Monti.
Ovviamente qui non è assolutamente importante quello che dice, ma come lo dice. Mario Monti è una persona che riflette prima di parlare, dando alle parole il loro giusto peso. Consapevole dell’importanza che ha quello che dice, è disposto a fermarsi, prendendosi tutto il tempo necessario a trovare il giusto termine per esprimere quel dato concetto. Le sue lunghe pause, intercalate da qualche “ehm, ehm” sono molto diverse dagli inciampi in cui incorre uno studente che arriva impreparato all’interrogazione. E non solo perché Monti non è uno studente ed è consapevole del potere che ha. In fondo abbiamo avuto, in un passato piuttosto recente, ben altre esperienze di presidenti del consiglio. E a questo punto diventa importante anche come Monti si esprime.
Fino a pochi mesi fa eravamo abituati a sentir parlare di politica come se si trattasse di una partite di calcio: “scendere in campo”, “la mia/nostra squadra”, “discesa in campo”, e poi “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, “staccare la spina”…
Come ogni comunicazione anche questo linguaggio contiene in sé il significato profondo che il comunicatore attribuisce all’oggetto della comunicazione (in questo caso la politica considerata alla stregua di una partita di calcio).
La risposta di Mario Monti è stata: “Se è possibile esprimere il concetto di dipendenza del governo dal Parlamento con espressioni diverse da quelle di
staccare la spina
E: “L’espressione ‘mettere le mani nelle tasche degli italiani’ non mi ha mai persuaso, e comunque è incompleta, perché a metterle “nelle tasche dei contribuenti onesti”, sono “gli italiani che evadono” e quei “privilegi e rendite” che sono “un inciampo al gioco della concorrenza e del mercato”.
Quindi un prendere le distanze (con sobrietà e fredda ironia inglese, direbbe qualcuno), chiarendo al contempo il proprio punto di vista.
È davvero triste constatare come tante persone – e tanti, troppi giornalisti – continuino ad usare sempre lo stesso linguaggio, in modo superficiale, senza riflettere sul significato profondo di quello che dicono; come siano tanto veloci ad applaudire o ad insultare (vedi i due personaggi Grillo e Celentano, con il loro linguaggio e i loro seguaci), come se non fossero in grado di ragionare con la propria testa.
E a questo punto mi viene da chiedermi: ma siamo davvero liberi? Se ci lasciamo influenzare così facilmente da una parola (a Torino, quando una ragazzina ha detto che un Rom l’aveva stuprata, sono andati a incendiare il campo) siamo in gabbia senza saperlo! Ma questo ragionamento merita un ulteriore approfondimento.
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