Per fortuna sono bianco

Per fortuna sono bianco

Quello che potete leggere qui è l’incipit di Per fortuna sono bianco, del giornalista Maurizio Chierici, Mondadori ed. 1990

Sono contento di essere nato in Europa, la “nostra” Europa. Non devo scappare per cercare i dischi di Michael Jackson, o buttare giù il muro per comperare cravatte made in Italy. La libertà è più complicata dell’obbedienza.

Sono contento di essere nato in una città del Nord, di un Paese del Sud: respiro l’aria delle fabbriche, ma ho l’alibi della fantasia. Sono contento di essere, ormai, adulto: l’infanzia è una malattia fastidiosa da curare con gli spot. Qualche volta si guarisce crescendo. Se bianco, naturalmente.
Con altri colori esistono otto possibilità su dieci  di sparire prima di crescere davvero. Sono contento di non essere provvisoriamente ammalato: gli ospedali sembrano nidi infetti, e i bravi medici, perle rare, più costose delle perle vere. Sono contento di avere la pelle chiara: posso alzare la mano verso un taxi senza il sospetto di una rapina. Posso suonare il campanello di qualsiasi casa, a qualsiasi ora, e scusarmi d’aver sbagliato porta. Nessuno chiamerà la polizia. Sono contento di non essere nato in Salvador, in Libano, o in Cambogia. Quando dormo, e passi guardinghi si avvicinano nella stanza accanto, al massimo sono ladri e non squadroni della morte. Sono contento di non essere un indio dell’Amazzonia: se non brucio con la foresta mi uccidono per scavare l’oro. Sono contento di essere battezzato. Nessun fascismo potrà portarmi via, e gli xenofobi non rideranno se salto i pasti durante il Ramadan.
Sono contento di non tentare l’avventura su una barca per scappare dalla fame o dalla guerra. I campi di raccolta diventano un’abitudine penosa. Allungano fino all’eternità la carità che opprime. Sono contento di appartenere a una cultura dal cinismo normale e sincero. Godo la situazione senza scrupoli lasciandomi trascinare dalla storia. Naturalmente la mia storia di maschio, adulto e garantito. Faccio parte dei padroni del mondo e sono autorizzato ad adeguarmi al costume corrente: lasciar scorrere il dolore dei neri, dei gialli, dei marron senza prendere carico delle loro sofferenze, ma osservandole col distacco un po’ umido dell’impresario  delle pompe funebri. In fondo, non è lui l’assassino. Ci sono altre vie d’uscita, la solidarietà o il suicidio sociale. Entrambe faticose, ed è consigliabile lasciarle ai fanatici.
Meglio chiudersi nella piccola patria che la nostra pelle conserva con orgoglio. Una patria bianca esalta mille possibilità. Se Bush fosse nato miskito potrebbe decidere quando i miskitos devono vivere in pace? E sono contento di avere cinquant’anni. La guerra ha attraversato l’Europa ma non era la mia guerra: troppo giovane per decidere cosa fare. Il terrorismo ha attraversato la mia maturità. Mi ha solo sfiorato sui giornali. La droga e l’Aids, crisantemi destinati ai nuovi, fanno discutere i vecchi (non li ho ancora sentiti dire: dove abbiamo sbagliato?).
In fondo la mia vita sembra piena e grigia. Per un bianco è già un miglioramento. Sono, poi, contento di guardare il mondo degli altri per tornare a casa e respirare soddisfatto. Di qui non mi muovo, e non voglio intrusi con i loro problemi. E se arrivano?

Per fortuna sono bianco, Maurizio Chierici

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