Protezione temporanea per i tunisini

parole, Invasione non c'è, Protezione temporanea per i tunisini

Comunicato stampa 31 marzo 2011 del consiglio direttivo ASGI

Istituire la protezione temporanea è la sola via razionale per governare oggi l’esodo dalla Tunisia

Il diritto europeo e la normativa nazionale italiana prevedono già da tempo tutti gli strumenti per tentare di governare in modo razionale e rispettoso dei diritti fondamentali gli attuali arrivi in Italia di cittadini della Tunisia, anche se di essi quasi fingono di non saperne e dunque in realtà non se ne vogliono servire sia gli Stati dell’Unione europea, sia i suoi organi, il che genera una situazione di grave

confusione, foriera di reazioni xenofobe abilmente sfruttate da formazioni politiche di estrema destra, alcune delle quali ricoprono purtroppo ruoli di governo in alcuni paesi dell’Unione.

L’ASGI ricorda infatti che le misure di “protezione temporanea” di cui alla direttiva 2001/55/CE, attuata in Italia col decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85 e le analoghe misure di carattere eccezionale che potrebbero essere attivate a livello nazionale anche senza o prima di una concertazione europea con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in base all’art. 20 del Testo unico delle leggi sull’immigrazione sono state elaborate proprio allo scopo di gestire situazioni di afflussi massicci di persone che fuggono da una situazione di grave instabilità che si è prodotta in un paese terzo rispetto alla UE e “il cui rimpatrio in condizioni stabili e sicure risulta momentaneamente impossibile in dipendenza della situazione nel Paese stesso” (direttiva 2001/55/CE art. 2 lettera a).

La situazione attuale in Tunisia, paese che, con grande capacità e dignità, ha accolto oltre 100mila persone in fuga dalla Libia, è quella di un paese allo stremo e la fuoriuscita di molti suoi giovani in cerca di strade per sopravvivere e per aiutare le proprie famiglie costituisce, come è d’altronde avvenuto in altri momenti della storia recente in Europa – si pensi al caso dell’Albania negli anni 90- il più veloce e probabilmente efficace motore della ripresa del Paese. Anche dall’Italia nel 1945 dopo la fine della guerra e della dittatura riprese massiccia l’emigrazione da un Paese libero, ma economicamente distrutto.

A ciò si aggiunga che in Tunisia dopo il cambio di Capo dello Stato il Governo provvisorio ha sciolto tutti i corpi di polizia e ha congedato i loro 150mila appartenenti e affida il mantenimento ordinario dell’ordine pubblico alle Forze armate, composte di militari di leva e del tutto impreparate a operazioni complesse di controllo del territorio o delle sue coste. Tale situazione non cambierà fino a quando saranno costituiti i nuovi corpi di polizia composti di personale preparato e rispettoso delle nuove istituzioni costituzionali democratiche che la Tunisia si darà con la nuova Costituzione che sarà preparata dall’Assemblea costituente di prossima elezione. La transitorietà ed eccezionalità della situazione sotto il profilo dell’ordine pubblico pare confermata anche dai ripetuti assalti personali di ex poliziotti ai precedenti ministri dell’Interno dei governi provvisori e dal repentino e ripetuto cambio di

ministri dell’Interno (3 in tre mesi) che rende del tutto instabile e poco affidabile anche nei rapporti bilaterali l’interlocutore istituzionale tunisino e comunque incapace di provvedere in modo efficace e stabile sia al controllo delle proprie coste, sia alla prevenzione e repressione del traffico di persone, sia al rimpatrio e all’identificazione di decine di migliaia di persone.

Così molti giovani istruiti, ma senza prospettive economiche in un momento di grave crisi economica ed istituzionale causata sia dal cambio di regime, sia dal conflitto nel paese confinante, che incide per esempio sugli importanti introiti del turismo, pensano di trovare altrove un modo di sopravvivere in attesa di un ristabilimento di una situazione di stabilità derivante da eventi futuri ed incerti che riguardano il loro Paese e quelli confinanti e appare impossibile bloccarli efficacemente.

Pertanto paiono destinati ad insuccesso anche gli sforzi del Governo italiano di far applicare in modo efficace e duraturo eventuali accordi bilaterali di riammissione con la Tunisia (peraltro conclusi in forma incostituzionale non essendo stati sottoposti mai a preventiva legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost.), anche fornendo personale e mezzi alle instabili autorità tunisine.

Né stupisce che la grande maggioranza di tunisini voglia in realtà raggiungere parenti, amici e conoscenti che da decenni vivono e lavorano soprattutto in Francia, in Belgio, in Svizzera o in Germania, quegli stessi Paesi che dovrebbero rispettare i diritti fondamentali che essi hanno strenuamente perseguito da soli anche in Tunisia allorché hanno mirato a rovesciare un regime autoritario ed oppressivo.

In tal senso appaiono miopi e dettate da logiche di breve periodo, influenzate anche da scadenze elettorali, le ripetute dichiarazioni del Ministro dell’Interno francese che vuole impedire ad ogni costo l’ingresso in Francia “di persone per motivi economici mascherati da motivi politici” e perciò impone respingimenti collettivi dei tunisini giunti in Francia dalla frontiera italiana, come se si tratti di affare soltanto italiano e di controllo delle frontiere esterne dell’Unione di competenza italiana e non fosse rilevante che il vero motivo di spostamento di decine di migliaia di tunisini è proprio quello di dirigersi anzitutto verso la Francia, il cui Governo ha favorito il defunto presidente Ben Alì, come confermano le recenti dimissioni del suo ex collega Ministro degli Affari esteri.

Altrettanto stupiscono le dichiarazioni della Commissione europea che si limita a ricordare che sono stati forniti ingenti mezzi economici all’Italia per controllare anche in regime di emergenza le sue frontiere esterne, dimenticando che in base alla citata direttiva dell’UE sulla protezione temporanea spetta proprio alla Commissione europea presentare al Consiglio europeo la proposta di attivarla.

Si ricorda inoltre che le norme comunitarie sulla protezione temporanea consentirebbero ai tunisini di ricevere fin dal loro sbarco accoglienza regolare, un titolo di soggiorno di durata non superiore ad un anno, prorogabile per non più di un anno, che sarebbe valido anche per studio e per lavoro e che consentirebbe loro anche di attuare il diritto all’unità familiare, mentre non impedirebbe loro di chiedere eventualmente la protezione internazionale. Inoltre il regime della protezione internazionale consentirebbe ad ogni Stato dell’Unione europea che fosse disponibile di decidere di accogliere ed assistere una quota di costoro, anche dopo il loro ingresso in Italia.

Appare perciò miope anche la politica del Governo italiano che chiede all’Unione Europea di fare ciò che non potrebbe fare e che non chiede all’Unione di attivare ciò che invece potrebbe fare:

nell’illusione di riuscire da sé a rimpatriare coercitivamente decine di migliaia di tunisini, nei consessi europei non ha mai formalmente presentato la proposta di attivare la protezione temporanea, ma si lamenta che l’Italia è lasciata sola dall’Unione Europea, e analogamente ai suoi colleghi europei sembra condurre una politica un po’ casuale e impreparata, non vede questa evidenza e non sa oggi dare una risposta di immediata accoglienza, anche investendo sul futuro di un Paese di modeste dimensioni e con un grande potenziale economico e sociale con il quale un’Italia non auto-votata all’impotenza, potrebbe avere nell’immediato futuro una intensa collaborazione economica, sociale e culturale.

La gestione degli attuali arrivi va quindi attuata in primo luogo sia distinguendo l’accoglienza doverosa nelle strutture già operanti in tutta Italia (come quelle dello SPRAR per i richiedenti asilo) di stranieri che si trovano in situazioni particolarmente vulnerabili e di inespellibilità (richiedenti asilo, donne incinte, bambini), sia evitando di riprodurre la catastrofica situazione determinatasi a Lampedusa, affrontata in modo tardivo e contraddittorio dal commissario straordinario e con dichiarazioni un po’ demagogiche dal Ministero dell’Interno e dal Presidente del Consiglio dei ministri, e adottando misure di protezione temporanea per chi è già sul suolo europeo; la forzata cacciata nella clandestinità dei tunisini produce invece una tensione destinata solo a indebolire i controlli reali e a sperperare denaro pubblico.

Il necessario contenimento dei flussi migratori della Tunisia può avvenire solo con gradualità all’interno di un serio ed immediato programma di aiuti e cooperazione di cui non v’è al momento alcuna traccia, unito ad un nuovo realistico programma di ingressi regolari dalla Tunisia, ben superiori alle quote riservate finora dall’Italia agli ingressi di tunisini per lavoro stagionale e non stagionale.

L’ASGI ricorda che l’attivazione della protezione temporanea non può essere sostituita da allontanamenti coercitivi e massicci di tunisini che sarebbero illegittime: il Protocollo IV alla CEDU proibisce tassativamente e senza esclusioni ogni forma di espulsione collettiva degli stranieri, ogni provvedimento di espulsione o di respingimento è vietato nei confronti dei richiedenti asilo e dei minori, deve essere individuale, scritto, motivato e tradotto ed è ricorribile in via giudiziaria. Inoltre molte norme italiane sui provvedimenti amministrativi di espulsione e di trattenimento sono inapplicabili perché violano le disposizioni immediatamente applicabili della direttiva comunitaria sui rimpatri del 2008, che non è stata attuata nell’ordinamento italiano entro il termine per il recepimento scaduto il 24 dicembre scorso, come confermano le numerose pronunce giurisdizionali e le questioni pregiudiziali inviate alla Corte di giustizia dell’UE che si discutono proprio in questi giorni. Di questo disordine normativo è responsabile l’attuale Ministro dell’interno che prima ha affermato che l’Italia non doveva applicare la direttiva grazie al reato di ingresso o permanenza irregolari di stranieri previsto dalla legge n. 94/2009 sulla sicurezza e da mesi ammette che occorre adeguare le norme italiane alla direttiva, ma finora non è avvenuto.

Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

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