Respingimenti in Libia: 17 superstiti ricorrono alla CEDU

Sea Watch

I superstiti di un naufragio respinti in Libia dall’Italia, hanno presentato ricorso alla Corte Europea Diritti dell’Uomo-CEDU. I fatti risalgono allo scorso 6 novembre e hanno come protagonista la nave Sea-Watch, dell’omonima Ong.

In quell’occasione la guardia costiera Libica ha volutamente ostacolato le operazioni di soccorso nei confronti di 130 migranti che si trovavano alla deriva in un gommone partito dalla Libia, circa 20 migranti sono morti. La motovedetta usata dai libici era stata loro donata dal governo italiano, nell’ambito degli accordi stipulati dal nostro governo con al-Serraj e l’intervento dei libici è stato coordinato dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della nostra guardia costiera. In seguito la guardia costiera libica ha riportato in Libia 47 superstiti; lì hanno subito torture, stupri e violenze inenarrabili.

Qui sotto potete vedere il video integrale  realizzato dalla Sea Watch che documenta i fatti accaduti il 6 novembre.

Alcune associazioni di tutela dei diritti umani, hanno avuto modo di parlare con queste persone riscontrando numerose violazioni dei diritti, in primo luogo del diritto alla vita. Lo stato italiano è ritenuto direttamente responsabile perché i respingimenti collettivi sono vietati dalla normativa internazionale e quello che ha fatto la guardia costiera libica, in accordo e con i soldi del governo italiano, è proprio questo.

Il ricorso è stato redatto da alcune associazioni che sono: Asgi, Global Legal Action Network (Glan), Arci e Yale Law School’s Lowenstein International Human Rights Clinic.

Si ripropone quanto già successo quando la Cedu ha condannato l’Italia dell’allora ministro Maroni per trattamento inumano e degradante e, con il governo che sembra stia per nascere, non credo finisca qui, ma temo che ne vedremo molte altre, di situazioni simili.

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