Rinnovo permesso anche con poco reddito

attesa occupazione, lavorare in attesa Rinnovo permesso di soggiorno

La questura non può rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno allo straniero bene inserito con la sua famiglia in Italia solo perché il suo reddito è inferiore al minimo di legge.

Lo afferma il Consiglio di Stato che fonda la sua decisione sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale in sede di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno occorre tener conto della situazione familiare dello straniero.Dopo che il Tar dell’Emilia Romagna aveva rigettato il suo ricorso contro il provvedimento della Questura di Bologna con il quale gli era stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per reddito insufficiente, L.B., da tempo residente in Italia con la sua famiglia composta dalla moglie e due figli minori, uno dei quali nato in Italia ed iscritto alle elementari, ha proposto appello al Consiglio di Stato.
La Questura di Bologna, infatti, aveva respinto la domanda rilevando che lo straniero non avesse percepito nel corso del 2004 e del 2005 il reddito lordo annuo minimo necessario per il ricongiungimento familiare (la famiglia dell’appellante è composta da moglie e due figli e il reddito minimo richiesto per tale ipotesi era pari ad euro 9.567,22 per il 2004 e ad euro 9.749,22 per il 2005).
La Questura aveva rilevato al riguardo che il reddito annuo dichiarato dallo straniero per entrambi gli anni in considerazione fosse del tutto insufficiente in relazione alle previsioni di cui al comma 3, lett. b) dell’art. 29, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, attestandosi su un livello inferiore allo stesso importo annuo dell’assegno sociale.
Secondo il Consiglio di Stato, invece, la Questura ha omesso di valutare le condizioni lavorative e familiari maturate dallo straniero durante la permanenza in Italia, le quali (ove correttamente valutate) avrebbero dato autonomamente titolo al rilascio di un permesso di soggiorno.
In particolare, secondo i giudici di Palazzo Spada, l’obbligo di procedere a una valutazione puntuale in ordine alla situazione familiare dell’interessato deriva “da una lettura costituzionalmente orientata del pertinente quadro normativo, in relazione alle previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto1955 n. 848 (e, in particolare, dell’art. 8, in tema di diritto al rispetto della vita privata e familiare)”.
In definitiva, puntualizza la sentenza depositata a fine settembre, poiché la Convenzione ha una diretta rilevanza nell’ordinamento italiano in base all’art. 117 della Costituzione, la legge interna (in questo caso il testo unico immigrazione) non può contenere previsioni difformi rispetto alla Convenzione europea. Di conseguenza, dato che l’art. 8 della Convenzione riconosce anche agli stranieri il diritto al rispetto della vita familiare, a prescindere dai presupposti normativi del ricongiungimento familiare (come ad esempio, i presupposti reddituali), in sede di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno occorre tener conto della situazione familiare dell’interessato in Italia. Ha sbagliato dunque il Tar che avrebbe dovuto interpretare il TULI in modo conforme alla disposizione internazionale ed avrebbe dovuto tener conto della situazione personale e familiare dello straniero, coniugato in Italia e con figli minori – uno dei quali nato in Italia – frequentanti le scuole italiane.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.