Nuovi scrittori e nuove scritture in Italia
La presenza a Vicenza dello scrittore Pap Khouma, lo scorso venerdì 3 febbraio, ci permette di analizzare il fenomeno della cosiddetta letteratura della migrazione e dei cosiddetti scrittori migranti di cui Khouma è il primo esempio. Più in generale ci permette di guardare a come si utilizzano le parole, ora che anche i cosiddetti giornali mainstream hanno iniziato a interessarsi dell’argomento (dalla Repubblica, al Corriere, passando per L’Unità fino al Fatto Quotidiano e oltre).
Con il suo “Io, venditore di elefanti”, Khouma ha avuto il merito di raccontare la vita dei primi immigrati in Italia, irregolari e ambulanti. Esperti hanno analizzato le motivazioni che stanno dietro alla scelta di scrivere e di scrivere in italiano – farsi conoscere e accettare, elaborare il lutto legato all’allontanamento dal proprio paese, superare le difficoltà attraverso la terapia della scrittura…
Chissà se qualcuno si è accorto che, in questi anni, tante cose sono cambiate e fra i cosiddetti scrittori migranti ci sono moltissimi giovani delle cosiddette seconde generazioni, ragazzi che non hanno scelto la migrazione, ma che sono arrivati qui da piccoli o che sono nati in Italia. I più fortunati, sono riusciti a passare per le innumerevoli forche caudine poste sulla strada di chi osa chiedere la cittadinanza italiana; gli altri sono ancora stranieri per lo Stato e non importa a nessuno se conoscono Dante, Petrarca e anche l’Inno di Mameli decisamente meglio di Renzo Bossi.
In quanto scrittori, sono considerati come un fenomeno folkloristico, relegati dai quotidiani in pagine che dovrebbero essere dedicate alla solidarietà e non all’immigrazione (come fa notare Giusy Muzzopappa in un articolo scritto a “Repubblica – Mondo Solidale” e pubblicato nel nuovo blog del collettivo “Alzo la mano adesso” http://collettivoalma.wordpress.com. Nel gruppo ci sono diversi scrittori famosi quali: Karim Metref, Milton Fernandez, Igiaba Scego, Gabriella Kuruvilla, Laila Wadia, Mohamed Malih e molti altri).
L’aspetto più interessante è l’arricchimento culturale e sociale che ci viene dalla loro presenza. Senza che noi ce ne accorgiamo, intenti come siamo a discutere di jus sanguinis e jus soli, la lingua cambia e si arricchisce grazie a loro che ci danno la possibilità di vedere il mondo e le cose da un altro punto di vista, che sperimentano, giocando con le parole e utilizzandole con fantasia a noi sconosciuta. Come ha fatto il nostro amato Luigi Meneghello, che probabilmente, non avrebbe scritto capolavori come: “Libera nos a malo”, se non fosse andato all’estero arrivando a inventare una sua lingua fatta di italiano-inglese-dialetto vicentino.
Ma, sempre per la velocità con cui cambiano le cose e la tecnologia, può succedere che la parola migrante venga utilizzata in altri contesti. Ne sono un esempio tutti coloro che hanno superato gli anta e si ritrovano senza saperlo ad essere migranti digitali pur avendo la cittadinanza italiana; sono in difficoltà davanti a un linguaggio straniero fatto di HTML e CSS, che guardano con diffidenza e un po’ di paura. Di converso, i cosiddetti scrittori migranti di seconda generazione, sono dei nativi digitali, perfettamente a loro agio fra Facebook, Twitter, blog e app.
E allora, per evitare equivoci, chiamiamoli soltanto scrittori, anzi, Signori Scrittori.
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