Seme di strega, Margaret Atwood riscrive la Tempesta di Shakespeare
Seme di strega ovvero La Tempesta di Shakespeare rielaborata con linguaggio attuale dalla grandissima scrittrice canadese Margaret Atwood. Di lei non ho letto molto purtroppo e spero di tornare in pari presto.
La storia ha come protagonista Felix, un regista teatrale a cui gli ex colleghi hanno “fatto la festa”. Non intendo raccontarvi quello che accadrà, ma solo dire che Felix sarà chiamato ad organizzare un corso di teatro, con rappresentazione finale, rivolto a un gruppo di detenuti. I livelli di lettura del testo sono molteplici, con innumerevoli spettacoli nello spettacolo, che si squadernano man mano che si prosegue nella lettura.
Con l’occasione propongo una riflessione, invitandovi a leggere con attenzione le tre frasi prese dal romanzo Seme di strega: trovo che siano estremamente significative.
Nell’aria aleggia un odore singolare di pittura vecchia, vagamente di muffa, di cibo non amato, mangiato con noia, un odore di sconforto e spalle curve e teste chine e corpi scavati e ripiegati su se stessi. Un odore sciagurato di scoregge alla cipolla, piedi nudi e freddi, asciugamani umidi, anni senza madre. Un odore di miserie che avvolge come un incantesimo tutti quelli che si trovano lì dentro.
Lavoriamo in squadra. Ciascuno avrà una parte essenziale da svolgere, e se qualcuno non riuscirà a svolgere il compito che gli è stato assegnato, i suoi compagni dovranno aiutarlo, perché la solidità dello spettacolo si misura sull’anello più debole: se uno di noi fallisce, falliamo tutti insieme.
Sono le parole che dovrebbero preoccuparvi, pensa Felix guardando le guardie all’entrata. È questo il vero pericolo. Le parole non le vedono gli scanner.
A me fanno pensare, tanto per cambiare, alla situazione migratoria: persone in fuga, sole, in prigione…
E all’importanza di fare le cose insieme – vedi l’evento delle magliette rosse – perché “la solidità dello spettacolo si misura sull’anello più debole”, frase da scolpire in caratteri d’oro per chi si occupa dei diritti degli ultimi.
E, infine, l’importanza della parola, che lo scanner non vede, e quindi di quello che ognuno di noi fa e dice per difendere, proteggere, tutelare.
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