Simposio scientifico sull’autobiografia e sul perché scrivere di sé
Il primo Simposio scientifico sulla scrittura autobiografica si terrà ad Anghiari, dal 6 al 7 dicembre 2019.
Il Consiglio Scientifico del Centro Nazionale Ricerche e Studi Autobiografici della LUA ha deciso di proporre un’occasione di confronto tra le sempre più numerose realtà che si occupano di promuovere e realizzare iniziative volte alla diffusione della scrittura e della cultura autobiografica.
Negli ambiti più diversi: scuole, biblioteche, associazioni, RSA, Università, Servizi socio-sanitari e di cura delle persone, ecc., e ovunque emerga spontaneamente e chieda di essere raccolta una domanda individuale o collettiva di scritture autobiografiche e biografiche.
Di particolare importanza, sia scientifica che simbolica, sarà la presenza in apertura delle giornate del professor Philippe Forest dell’Università di Nantes.
Scrittore e studioso francese di letterature autobiografiche, la cui fama europea ne fa un punto di riferimento imprescindibile per le originali suggestioni critiche offerteci dalle sue opere. Al quale per altro verrà consegnato un premio speciale, per il contributo personale e intellettuale di grande rilievo offerto a tali generi narrativi.
Dall’ascolto e dalla conversazione con Philippe Forest, oltre che dall’incontro con altri relatori invitati, alcuni dei quali membri del Consiglio Scientifico, sia in plenaria che nei momenti workshop, potremo sicuramente trarre idee e spunti di riflessione per le nostre attività dedicate alle diverse declinazioni delle “scritture dell’io” di realtà e in “autofiction”. Come appunto Forest ama definirle.
Il Simposio vuole pertanto rappresentare un primo momento di dialogo e conoscenza reciproca tra i rappresentanti (formatori, studiosi, consulenti in autobiografia, volontari della narrazione, operatori culturali, ecc.), che ormai da anni, o di recente, credono nei diversi valori umanitari, educativi, terapeutici delle pratiche autobiografiche. Al fine di ricostruire, meglio comprendere, sintetizzare – nella reciproca condivisione delle esperienze auspicata dal Simposio- una mappa ancora non tracciata di quanto in Italia sta avvenendo rispetto alla loro diffusione. Nonché al successo che queste proposte anche di “lotta all’analfabetismo di ritorno” nel nostro Paese e di diffusione della cultura scritta vanno riscuotendo.
Duccio Demetrio, direttore scientifico del Centro Studi, propone alcune suggestioni per il dibattito:
Perché scrivere di sé, sette possibili risposte
Più di vent’anni di osservazioni condotte nei laboratori anghiaresi e altrove
I risposta:
C’è chi scrive per mostrare a se stesso e soprattutto ai potenziali lettori che ha avuto una vita importante, di successo, e, con clamore, vuole che ciò si sappia anche ricorrendo alla pubblicazione della “propria” autobiografia. I sentimenti provati durante il processo narrativo sono di autocompiacimento narcisistico. Prima vissuti e poi tradotti in pagine conseguenti che, in molte testimonianze, non celano affatto il piacere di ostentare le conquiste delle quali fregiarsi. Chi scrive per egocentrismo, ovvero per egolatria malcelata o esibita, produce scritture poco o per nulla autocritiche, quasi sempre alterate e manipolate ad uso dei propri scopi esibizionistici.
La memoria è qui consapevolmente violata e falsificata: viene adattata alle esigenze delle finalità autocelebrative e utilitaristiche degli autori, in un allontanamento taciuto da quelle verità scomode che possano lederne l’immagine. Spesso la tendenza alla finzione, a mentire, a edulcorare la realtà dei fatti o la propria immagine tradisce la ricerca di quelle realtà fattuali che distinguono l’autobiografia da altri generi narrativi (fantastici, romanzeschi, finzionali…) che perorano invece l’occultamento di talune verità, quali esse siano.
II risposta:
C’è chi cerca la scrittura per sentimenti opposti ai precedenti: per un bisogno di esprimersi spontaneo, immediato, istintivo, passionale. Assolutamente disinteressato rispetto a un tornaconto affettivo e tanto meno di convenienza. Il successo letterario non è perseguito, non è la prima aspettativa, può essere tutt’al più una conseguenza e dovuto a meriti stilistici o a originalità testuali. La memoria, in questo caso, è una fonte di ispirazione dove ragione e affettività si intrecciano senza posa, che si offrono alla penna gratuitamente e imprevedibilmente. I materiali memorialistici si dipanano secondo la ricerca di autenticità emotive e morali, nel coraggio intenzionale di raccontare verità che possono essere scomode (e anche per questo si è spinti a scrivere), verità che non si vogliono eludere e tacere mistificandole. Fra queste: il dolore, patito o inferto ad altri; le crudeltà; i tradimenti. Scriverne è una sfida inflitta alle resistenze del silenzio: genera inevitabili malinconie, nostalgie, angosce, rimpianti, ma anche emozioni di elevazione, crescita, conquista assolutamente interiori e segrete. Nell’orgoglio di essere riusciti a raccontare le origini e le conseguenze di taluni fatti, sfidando ogni dimenticanza. Il lavoro sulla memoria assume le forme di un processo di natura catartica e la scrittura si muove nei labirinti del passato in funzione maieutica, rivelativa e finalmente pacificante.
III risposta:
C’è chi scrive per passione conoscitiva, per il piacere di imparare dalla propria storia pregressa e in atto, dall’esercizio della riflessione, della coscienza, del pensiero. La scrittura diventa opportunità preziosa e unica, gioiosa indagine che nello scoprire rivela le sue qualità cognitive e ricognitive per approfondire o inaugurare un dialogo intimo, serrato, diaristico con se stessi. Gli autori vogliono frugare in prima persona nel proprio passato e dintorni, si impegnano a cercarsi, a riscrivere simbolicamente il proprio nome, senza alterare fatti e circostanze. La scrittura diventa rabdomantica, indagatrice, impudica. (La memoria si rende così un’occasione di ravvedimenti di carattere autoeducativo e autoanalitico).
IV risposta:
C’è chi scrive perché scopre che tale attività ha un potere lenitivo, genera sensazioni di benessere, contentezza e vigoria anche fisiche; è una esperienza di riconciliazione, consolazione, disponibilità ad abbandonarsi a qualunque ricordo, ai temi apicali dell’esistenza, alla disamina spassionata degli incontri fatali che più hanno condizionato, nel bene e nel male, la propria vita. Tutti indizi di un destino affiorante tanto dal passato quanto dal presente quotidiano: la memoria in tal caso si manifesta nel suo valore curante, instaura una relazione d’aiuto. Perché la penna ci guida con tenacia desiderante, nella vocazione esplicita di sfidare i ricordi che non riusciamo a dimenticare: connessi a errori, decisioni mancate, offese inferte o ricevute, sensi di colpa. La scrittura non si manifesta terapeutica (termine troppo spesso abusato in merito alla scrittura) in senso clinico, ma si rivela una necessità esistenziale che ci dischiude alla poesia, alla filosofia, alla spiritualità religiosa o laica. Quando, pur nella sofferenza estrema, talvolta nell’imminenza del commiato, abbia il potere di aiutarci a scoprire verità nascoste, aiutandoci a perdonare e a perdonarci. La memoria ci elargisce -nella libertà del racconto- il materiale necessario a riparare mancanze ed errori, per rinascere metaforicamente e nei fatti a nuova vita. Divenendo lascito morale, spirituale, pedagogico.
V risposta:
C’è chi scrive per affrancarsi da uno stato di inferiorità, subordinazione, avvilimento anche sociale e culturale, oltre che interpersonale. Per sopportare talune condizioni di soggezione, di minorità umana e sociale, di povertà materiale: la memoria in questo caso, alleandosi con la scrittura, accende, accompagna, rinforza il sentimento della elevazione e della emancipazione personale, talvolta anche condivisa con coloro che abbiano compreso il potere insito nella scrittura. Ricordare è viatico di accettazione del proprio destino, nella intenzione di ripararne la sorte all’insegna della consapevolezza di aver vissuto intensamente, di aver amato e di essere stati amati senza risparmio, di aver perso pur avendo ugualmente vinto. Per non aver ceduto alla resa, alla fatica, alla sofferenza del dovere di scrivere. (La memoria, se si scrive con queste premesse, si trasforma in luogo di riscatto, ispira sentimenti e atti di gratitudine e di riconoscenza che la scrittura riorganizza in parole finalmente veritiere per ordinare diversamente il proprio presente verso il futuro).
VI risposta:
C’è chi scrive per adempiere ad un bilancio morale rispetto a quella che è ed è stata la propria esistenza, in un orizzonte retrospettivo e introspettivo, in una panoramica complessiva della propria storia. Cercando nelle parole della memoria, anzi coniandole in proprio, i sintomi e gli indizi del proprio disegno esistenziale. Il ricordo trasforma la scrittura in un viaggio interminabile ma esaltante di carattere etico. Le rimembranze scritte ci consentono di riportare alla luce i temi determinanti (amore, lavoro, morte, ricerca della felicità, cambiamenti, perdite e conquiste, invecchiamento, ecc.) che ogni essere umano ha attraversato e attraversa per essere ritenuto tale. A patto che si sia disponibili a rispondere alle domande: chi sono stato? chi sono? chi potrò ancora diversamente essere e diventare? Senza eludere, barando con la scrittura, un confronto serrato con il proprio essere stato ‘gettato’ nel tempo storico, sociale, collettivo, oltre che soggettivo. (Il sentimento prevalente è qui la tensione filosofica che si spinge ben oltre i confini della individualità e si confronta con gli universali della vita e del mondo)
VII risposta:
C’è, infine, chi desidera imparare a scrivere di sé (vedi la possibilità precedente) per dedicarsi alle vite degli altri, non senza aver sperimentato su se stesso i poteri della scrittura: con il fine di strappare all’oblio le biografie altrimenti disperse per la cultura dell’incuria e della disattenzione verso l’ethos della memoria e delle memorie individuali. Quando costoro, pur desiderosi di lasciare le loro storie a qualcuno, non possano provvedervi, né siano nelle condizioni fisiche, psichiche, pratiche di poter realizzare questo loro sogno di re-identificazione. (La memoria di sé e degli altri diventa un lascito dovuto: la fonte di atteggiamenti informati al rispetto umano, alla solidarietà, all’amicizia, alla compassione e la scrittura si rende generatrice di tutto ciò, di occasioni di accompagnamento, condivisione e trascrizione autobiografica). Un lascito che le comunità di vita, quelle professionali e quelle locali debbono proteggere: la cura di sé diventa cura dei luoghi amati, delle persone che hanno contato, che ci hanno permesso di crescere sulla scia dei loro valori morali. Queste non possono essere dimenticate, sia che abbiano scritto di sé, lasciato tracce di sé e memoria di fatti che quella comunità hanno aiutato a crescere e migliorare; sia che abbiano potuto contare sui biografi di comunità che le loro storie hanno voluto salvare.
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