Solo andata, poesia di Erri de Luca

Speculare, Alì, Solo andata

Solo il bisogno di dire disperazione, impotenza, un urlo muto che mi cresce dentro davanti alla disperazione dei profughi. questa vecchia vecchia vecchia Europa sta crollando sotto i loro passi ed è ora che qualcuno, che viene da fuori, la ricostruisca da zero, mattone dopo mattone.

Erri De Luca, ancora una volta con solo andata.

Prendo a prestito anche oggi le sue parole per dire cosa sia la migrazione e riflettere e far riflettere sulle persone che arrivano con le barche, a Lampedusa o da qualche altra parte. Persone che poi magari ci ritroviamo a venderci qualcosa…

Buona riflessione.

Sgozzano il pozzo con la dinamite, abbattono le piante,
rotolano teste di bambini in punta di stivali.

Torniamo che il bivacco è ancora caldo e fuma
Il canto degli assassini sotto il noce dei nonni.

Scacciati dalla terra, siamo il seme sputato il più lontano
Dall’albero tagliato, fino ai campi del mare.

Servitevi di noi, giacimento di vita da sfruttare,
pianta, metallo, mani, molto più di una forza da lavoro.

Nostra patria è la cenere fresca di vecchi e di animali,
è partita nel vento prima di noi, sarà arrivata già.

Non avete mai visto migrar patrie? Noi dell’Africa, sì,
s’alzano con il fumo degli incendi, si spargono a concime.

Dicono: siete sud. No, veniamo dal parallelo grande,
dall’equatore centro della terra.

La pelle annerita dalla più dritta luce,
ci stacchiamo dalla metà del mondo, non dal sud.

A spinta di calcagno sul tappeto di vento del Sahara,
salone di bellezza della notte, tutte le stelle appese.

L’acqua sopra una spalla, il fagotto sull’altra
Mantello, camicia e libro di preghiere.

Il cielo è dritto, un cammino segnato,
più breve della terra saliscendi.

A sera ricuciamo il cuoio dei sandali col filo di budello
E l’ago d’osso, ogni arnese ha valore, ma di più il coltello.

Signore del mondo ci hai fatto miserabili e padroni
Delle tue immensità, ci hai dato pure un nome per chiamarti.

Da giorni prima di vederlo il mare era un odore,
un sudore salato, ognuno immaginava di che forma.

Sarà una mezza luna coricata, sarà come il tappeto di preghiera,
sarà come i capelli di mia madre.

Com’era invece? Un orlo arrotolato sulla fine dell’Africa,
gli occhi pizzicati da specchietti, lacrime di accoglienza.

Mani mi hanno afferrato, doganieri del nord,
guanti di plastica e maschera alla bocca.

Separano i morti dai vivi, ecco il raccolto del mare,
mille di noi rinchiusi in un posto da cento.

Italìa, Italìa, è questa l’Italìa?
Hanno buona parola per il loro paese, vocali piene d’aria.

“Si dice Itàlia e questa è una sua isola
di capperi, di pesca e di noialtri chiusi”.

Non so cosa è isola, chiedo e risponde:
“Terra che sta piantata in mezzo al mare”.

E non si muove? “No, è terra prigioniera delle onde,
come noi del recinto”. Isola non è arrivo.

Sorvegliati da guardie, siamo colpevoli di viaggio,
c’è più spazio che in barca e porzioni di acqua e niente fame.

Cerco l’anziano per chiedere se questo cortile
di passaggio sbarrato è comunismo.

Poi ricordo, gli ho chiuso gli occhi secchi
Con le nuvole dentro al posto dei pensieri.

Non è comunismo, è recinto e noi siamo bestiame.
Anche meno di questo, dice uno dei mille.

Non siamo né da latte, né da carne.
Ma siamo da lavoro, Non ci vogliono e basta.

Vogliono rimandarci, chiedono dove stavo prima,
quale posto lasciato alle spalle.

Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta,
si offendono, per loro non è la seconda faccia.

Noi onoriamo la nuca, da dove si precipita il futuro
Che non sta davanti, ma arriva da dietro e scavalca.

Devi tornare a casa. Ne avessi una, restavo.
Nemmeno gli assassini ci rivogliono.

Rimetteteci sopra una barca, scacciateci da uomini,
non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso.

La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi,
nostra patria è una barca, un guscio aperto.

Potete respingere, non riportare indietro,
è cenere dispersa la partenza, noi siamo sola andata.

Siamo gli innumerevoli, raddoppio a ogni casa di scacchiera
Lastrichiamo di scheletri il vostro mare per camminarci sopra.

Non potete contarci, se contati aumentiamo
figli dell’orizzonte che ci rovescia a sacco.
senza sentire spine, pietre, code di scorpioni.

Nessuna polizia può farci prepotenza
più di quanto già siamo stati offesi.

Faremo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.

Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.

Da qualunque distanza arriveremo, a milioni di passi
Quelli che vanno a piedi non possono essere fermati.

Dai nostri fianchi nasce il vostro nuovo mondo,
è nostra la rottura delle acque, la montata del latte.

Voi siete il collo del pianeta, la testa pettinata,
il naso delicato, siete cima di sabbia dell’umanità.

Noi siamo i piedi in marcia per raggiungervi,
vi reggeremo il corpo, fresco di forze nostre.

Spaleremo la neve, allisceremo i prati, batteremo i tappeti
Noi siamo i piedi e conosciamo il sullo passo a passo.

Stringetevi nei panni, noi siamo il rosso e il nero della terra,
oltremare di sandali sfondati, lo scirocco.

Erri De Luca “Solo andata”

Libri di Erri de Luca

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