Le stanze dei figli, di Edna O’Brien
Edna O’Brien è una famosa scrittrice irlandese nata nel 1930. La sua scrittura approfondisce in particolare il ruolo della donna, descrivendo la difficoltà di crescere in una piccola città fortemente repressiva e dalle forti radici cattoliche. Questo romanzo è la storia di una giovane donna divorziata con due figli piccoli. La scrittrice è stata violentemente criticata dalla famiglia per il linguaggio disinibito con cui ha trattato la sessualità delle donne.
In questo brano Edna O’Brien racconta di Nell, dipendente di una casa editrice incaricata di leggere e valutare i manoscritti che le arrivano. Potete quindi leggere alcuni, interessanti, consigli di scrittura.
[…] Con l’autrice successiva si mostrò tenera e indulgente, si chiamava Millie e diceva di aver dovuto aspettare settimane prima di trovare il coraggio necessario per spedire il racconto. Era la sinopsi della sua vita, la storia di una donna nubile nell’Inghilterra vittoriana, il cui innamorato era stato dato per disperso in battaglia, il cui figlio illegittimo era nato in un orfanotrofio, e che adesso viveva passando da una casa signorile a un’altra dove si prendeva cura delle persone anziane. Quanti anziani e quanti rantoli. Chiedeva che qualcuno scrivesse questa storia al posto suo, sentendola troppo vicina per raccontarla.
A questa donna, a Millie, Nell scrisse: <<Deve essere vicina per raccontarla, e poi allontanarsi molto per conferirle quell’incanto che viene dalla distanza, l’infallibilità degli dei. Immagini, Millie, provi a immaginarla così… È mattina nella sua villetta nel Somerset; sulla sua corda per bucato ondeggiano una camicia da notte, mutandoni e uno strofinaccio; ha svuotato il ceneratoio e riempito il secchio del carbone; le gemme stanno appena cominciando a ingrossarsi e il bosco laggiù presto si coprirà di anemoni, poi di primule e campanule di un azzurro così gaio, un balsamo per gli occhi e tuffo al cuore, però… però l’uomo che ha aspettato, lo chiami amante, lo chiami marito, lo chiami fidanzato, lo chiami come le pare, quell’uomo non verrà. No, Millie. Lo sappiamo, lo sappiamo bene, lei e io. Ci saranno anemoni, violette, persino violette bianche, ma il fidanzato è passato oltre il suo cancello. Forse è morto in guerra, o forse no, forse ha sposato qualcun’altra, la sua sosia, o è emigrato in Australia dove tosa pecore e, come una pugnalata, di tanto in tanto gli viene in mente lei; ma non verrà, perché non c’è mai una seconda volta.
Perciò, Millie, tiri fuori il suo piccolo racconto da sotto il cuscino, o da sotto la biancheria che tiene nella cassapanca di quercia, dove si arrampicano gli onischi, e lo getti via, si sieda poi con la sua storia, la sua ricca, cruda, cupa e spietata storia, quella cui si sente vicina, troppo vicina, e la bagni con tutte le sue gocce di dolore e di pus finché non risplenderà del perfetto luccichio di una perla appena raccolta. Può decidere di ambientarla ovunque, in qualsiasi stagione e in qualsiasi luogo – un frutteto, una strada di città, una caverna – perché con le parole può osare, rimuginare, razziare, piangere, conquistare, e la cosa meravigliosa è che nessun altro può farlo all’infuori di lei.
È fondamentale come la maternità, con la differenza che il seme è contenuto in lei. “Ma come?” mi chiederà. È facile. Lo sperma sono i raggi della luna e del sole, e le ombre di ogni pensiero, mezzo pensiero e follicolo di sentimento che l’hanno accompagnata dal suo primo sospiro di dolore. Pensi soltanto alle cose importanti, Millie, alle cose importanti, tristi, solitarie, eroiche e archetipiche».
Nello snodarsi della storia troviamo Nell alle prese con un tragico evento che deve affrontare da sola.
Freddo! Il freddo mise allora radici in lei e si diffuse. Sì, fredde sono le cose profonde, fredde fuori e fredde dentro, come il cuore di uno scoglio marino che, per quanto lo si possa frantumare, bombardare con dinamite, mantiene sempre quella sua innata freddezza e da ogni sua parte la esala. Freddo spietato, crudele e insensibile, il freddo delle ere geologiche, consapevole di sé, ma che non sa cambiare e forse nemmeno lo desidera. Ma le persone non sono pietre, né dovrebbero essere costrette a diventarlo. Le persone sono persone. E tuttavia il suo cuore si era incallito. Il cuore, o quella minuscola parte di lei che provava sentimenti, baciava e comunicava, era irrimediabilmente cambiato. Come bandire quel freddo, scaldarne anche solo un angolino. Lo shock le rammentava qualcosa. Forse la nascita. Forse nella nascita l’algore della nostra vita ci appare davanti in un’immagine fredda e distaccata.
Nei primi attimi scivolosi e oscuri, quando il legame viene spezzato e al buio e umido silenzio interno si sostituisce la vasta inospitalità di un mondo stridente, in quel momento noi conosciamo la morte. Nella nascita conosciamo la morte.
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