Il parlare, e molto più lo scrivere di se stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di se stesso. Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto creduto da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero. Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliarda d’ogni altra, 1’amore di me medesimo; quel dono cioè, che la natura in maggiore o minor dose concede agli uomini tutti; ed in soverchia dose agli scrittori, principalissimamente poi ai poeti, od a quelli che tali si tengono. Ed è questo dono una preziosissima cosa; poiché da esso ogni alto operare del1’uomo proviene, allor quando all’amor di sé stesso congiunge una ragionata cognizione dei propri .suoi mezzi, ed un illuminato trasporto pel vero ed il bello, che non son se non uno.
Senza proemizzare dunque più a lungo sui generali, io passo ad assegnare le ragioni per cui questo mio amor di me stesso mi trasse a ciò fare; e accennerò quindi il modo con cui mi propongo di eseguir questo assunto.
Avendo io oramai scritto molto, e troppo più forse che nonavrei dovuto, è cosa assai naturale che alcuni di quei pochi a chi non saranno dispiaciute le mie opere (se non tra’ miei contemporanei, tra quel1ì almeno che vivran dopo) avranno qualche curiosità di sapere qual io mi fossi. lo ben posso ciò credere, senza neppur troppo lusingarmi, poiché di ogni altro autore anche minimo quanto al valore, ma voluminoso quanto all’opera, si vede ogni giorno e scrivere e leggere, o vendere almeno, la vita.
Onde, quand’anche nessun’altra ragione vi fosse, è certo pur sempre che, morto io, un qualche libraio per cavare alcuni più soldi da una nuova edizione delle mie opere, ci farà premettere una qualunque mia vita. E quella, verrà verisimilmente scritta da uno che non mi aveva niente o mal conosciuto, che avrà radunato le materie di essa da fonti o dubbi o parziali, onde codesta vita per certo verrà a essere, se non altro, alquanto meno verace di quella che posso dare io stesso.
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Nella città d’Asti in Piemonte, il di 17 di Gennaio dell’anno 1749, io nacqui di nobili, agiati, ed onesti parenti. E queste tre loro qualità ho espressamente individuate, e a gran ventura mia le ascrivo, per le seguenti ragioni. Il nascere della classe dei nobili, mi giovò appunto moltissimo per poter poi, senza la taccia d’invidioso e di vile, dispregiare la nobiltà per sé sola, svelarne le ridicolezze, gli abusi, ed i vizi; ma nel tempo stesso mi giovò non poco la utile e sana influenza di essa; per non contaminare poi mai in nulla la nobiltà dell’arte ch’io professava. Il nascere agiato, mi fece libero e puro; né mi lasciò servire ad altri che al vero. L’onestà poi de’ parenti fece sì, che non ho dovuto mai arrossire dell’esser io nobile. Onde, qualunque dì queste tre cose fosse mancata ai miei natali, ne sarebbe di necessità venuto assai minoramento alle diverse mie opere; e sarei quindi stato per avventura o peggior filosofo, o peggior uomo, di quello che forse non sarò stato.
Prologo e incipit dell’autobiografia di Vittori Alfieri: “Vita”