Girovago e alcune altre poesie di Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti, girovago

Giuseppe Ungaretti me lo ricordo perché, quando ero piccola, introduceva lo splendido sceneggiato televisivo “L’Odissea” di Franco Rossi. Lui leggeva alcuni brani del poema all’inizio. E mi chiedo dove sia finita quella televisione colta, che rimpiango moltissimo.

A parte i miei ricordi personali, Ungaretti (1888-1970) è stato un grandissimo poeta e scrittore italiano che faceva parte del gruppo degli ermetisti, scrittori cioé che usavano distillare le parole, dosandole con sapienza e senza metterne troppe. Per questo molti studenti erano felicissimi, perché imparare a memoria una poesia che dice solo: “M’illumino d’immenso” è molto più veloce che imparare “L’aquilone” di Pascoli, per esempio.

Girovago

(1913)

In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare
A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che una volta
gli ero stato
assuefatto
E me ne stacco sempre
straniero
Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute
Godere un solo
minuto di vita
iniziale
Cerco un paese
innocente

 

Veglia

(1915)

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

In memoria

(scritta nel 1916 per l’amico morto suicida)

Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse

 

Natale

(1916)

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

La madre

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Giorno per giorno

(1947 – in seguito alla morte del figlio Antonietto che aveva 9 anni)

“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo…

Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?…

Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M’avresti consolato…

Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…

In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio…

E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!…

Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell’aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio…

Passa la rondine e con essa estate,
E anch’io, mi dico, passerò…
Ma resti dell’amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall’inferno arrivo a qualche quiete…

Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza…
E fu la furia che abbatté la tenera
Forma e la premurosa
Carità d’una voce mi consuma…

Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!…

Rievocherò senza rimorso sempre
Un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa…”

Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?

Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”

 

Per finire la poesia “Fratelli” letta da Ungaretti stesso. Una vera chicca!

Fratelli

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

 

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